Quattro stagioni nel tempo di una diciassettenne - estate/autunno/inverno/primavera - bastano a cancellare le certezze di una vita. Dalla perdita della verginità alla prostituzione fino alla coscienza di una ritrovata, sconcertante innocenza. La Giovane e bella di François Ozon fiorisce come dinamite: chi temeva la solita tirata sulle fragilità e le isterie di una adolescente, fotografata in una delicata fase di passaggio, può ritenersi sollevato. Il più sottovalutato dei registi francesi infila invece l'antrace tra le pieghe di un classico romanzo di formazione e fa della sua giovane eroina, Isabelle, veleno iniettato in una cultura borghese ipocrita e ammuffita. Non sorprende che a soccombere letteralmente sotto i colpi di questa giovane mantide religiosa sia per primo un vecchio e facoltoso signore.
Volto di un'autentica rivelazione del festival (la 23enne Marine Vacth, un mix tra Laetitia Casta ed Emmanuelle Seigner), l'affascinante, enigmatica Isabelle non è però la nuova Bella di giorno in un cinema orfano d'icone e assuefatto agli scandali (veri o presunti). Ozon sa bene quanto poco avrebbe senso oggi un'operazione del genere.
Semmai la nudità, il gioco seduttivo e il sesso, che pure vengono messi in scena in modo esplicito (ma senza mai sconfinare nel pornografico), sono l'immediata e naturale espressione di una personalità autenticamente sessuale, una personalità che non si limita a usare il corpo con l'intenzione di dire, dirsi, altro (come avviene in tanta cultura e cinematografia post sessantottina, dove la libertà sessuale è convertitore simbolico di altre libertà). No, questa personalità è corpo, è sesso.
Sin dall'inizio Ozon mostra Isabelle nella morsa di un'incontenibile fame sensuale. Il suo fisico gracile si contorce e si tende spinto da un'impetuosa esplosione ormonale. Non la tieni. E questo fa paura. Il magma de-culturalizzato dei sensi scandalizza la cultura borghese, persino quella che si camuffa dietro un'anti-convenzionalità d'accatto (la famiglia di Isabelle è il prototipo della famiglia aperta).
Giovane e bella racconta un viaggio di scoperta caratterizzato non da svolte, ma da continui avanzamenti lungo la tortuosa strada della consapevolezza. Alla fine l'eroina riconoscerà di essere sempre stata quello che è, ovvero al di là delle etichette che una cultura incapace di addomesticarla vorrebbe imporre per autoconservarsi.
Ozon cita Doppio sogno di Schnitzler, ma depurandolo di ogni moralismo o morbosità. I suoi sono quadri cartesiani, il suo sguardo è quello del fratellino di Isabelle che la spia a distanza: depurato, curioso. Questa "giovane e bella" ci chiede di gettare in mare ogni preconcetto, inibizione morale. Di affrontare a viso aperto sicurezze e ipocrisie (come non è capace di fare la madre), dubbi e contraddizioni.
Rimbaud aveva ragione: non si può essere seri a 17 anni. Almeno lui andrebbe preso maledettamente sul serio.