Fucktoys. Il titolo è acchiappone, d’evidenza – letterale – paraculo, o forse no: c’è il legittimo sospetto, la perniciosa evidenza che non faccia riferimento a dildo e compagnia bella, ma a bambole in carne e ossa, usate alla bisogna.

In cartellone al 43° Torino Film Festival, segnatamente in Concorso, è l’esordio alla regia di Annapurna Sriram, in carnet Billions d’attrice, e qualche palcoscenico newyorkese spartito con Jesse Eisenberg.

Devota alla Giulietta Masina di Cabiria, si dirige in un allucinato, perduto, (ir)redento viaggio nell’America profonda e vieppiù epidermica, in cui la spazzatura si fa località, Trashtown, in cui il luridume permea ma non doma il sopravvivere, soprattutto a sé stessi: diagnosticata di maledizione, la nostra antieroina si prostituisce, invero d’abitudine, per recuperare i mille dollari atti alla rimozione del malocchio, laddove è più recalcitrante per l’agnellino da sacrificare.
La cosa più ironica, in un film che troppo ironico non è, è che AP va da altre fattucchiere per comprovare la maledizione, e nel mentre incontra varie ed eventuali: non meglio precisate star sodomite denominate, ehm, James Francone che chiedono non disclosure; padri di famiglia, autocertificati gay, da compiacere oralmente; fiamme gemelle, Danni (Sadie Scott), per viaggiare al termine della veglia; tal mixologist The Mechanic, che signorilmente le tatua sulla natica “I fuck the Mechanic”, cui si deve il verificarsi della suddetta accezione di fucktoys.

Peregrinare antiepico nella mercificazione, senza porti sicuri né incipienti scoperte, imbibito di violenza fumettistica e/o queer, ascritto dalla stessa AP al neo-camp e al rigurgito della New Wave americana, apparentato da altri improvvidi a – se, je piacerebbe – lo scorsesiano After Hours, il safdiano Good Time e un tot di Harmony Korine, Fucktoys – in Italia si domicilierebbe a casa Stambrini-Cavalli – è una stesa in attesa di montaggio, in predicato di selezione, e raziocinio: non è malvagio, ma imberbe, persino imbelle, più un grido d’aiuto, una dichiarazione d’intenti, una direzione tracciata che un lungometraggio compiuto.

Si sta come apprendisti appesi alla stregoneria, cineasti arresi al buona la prima, ed è un peccato, perché il malessere ha il corredo – pissing d’occasione, post-Covid d’elezione, bonifiche praeter necessitatem, sesso a buon mercato, disperazione à la carte – ma non la dote. Più fottuto, che giocoso.