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Eternity
Morire, sì, ma poi? Succede che lui (Miles Teller) se ne vada per un mini-pretzel di traverso, e lei (Elizabeth Olsen) dopo un po’ lo raggiunga per un tumore: sì, ma dove? È Eternity di David Freyne, targato A24 e Apple, film d’apertura del 43° Torino Film Festival, un after life romance prossimamente nelle nostre sale con IWonder.
Per capirci, siamo dalle parti del cinema anni Novanta, che ancora non conosceva streaming, potreste pensare a Ghost e Aldilà dei sogni, perfino al marchio Touchstone, e… quanta canaglia nostalgia: si può sottovalutarlo, non apprezzarne il candore financo favolistico, l’happy ending molteplicemente inteso, la rom-com che si fa un viaggetto nell’aldilà, ovvero una sentimentale catabasi. Può bastare?
Certo che è tanto, anche troppo, ma levate le iterazioni, belletti e ombretti, dialoghi cui sovente si chiede di supplire al “(non) lo famo” Eternity mostra il fiato corto, l’insufficienza trasfigurativa, i debiti immaginifici. Parole, parole, parole, che pure scaldano il cuore, schiudono il sorriso, solleticano con ironia, ma il Cinema, bee’, è la proverbiale altra cosa.
Rimane il ritorno al futuro di quei ‘90s, il triangolo sì, potremmo riconsiderarlo e una prova d’attori tutt’altra che disdicevole: Miles vuole riavere Elizabeth dopo sessant’anni di matrimonio, ma è il secondo marito, nell’eternità – tutti li ritroviamo giovani, ovvero al meglio delle proprie potenzialità e felicità - riciccia pure il primo, eroe di guerra, incarnato da Callum Turner, e chi sceglierà la donna? All’uopo, ci sono gli assistenti, una strepitosa Da’Vine Joy Randolph e il sagace John Early, e vedremo no, ma ne sentiremo delle belle – e anche risentiremo, diciamo che la ripetizione indugia.
Garbato nei modi, palettato nei colori, a modino nello spettatore potenziale, Eternity c’è ma non si vede, o forse meglio il contrario: chi sceglierà Elizabeth, sopra tutto, un pretzel è per sempre?
