Più che classico, George Clooney è un regista inattuale. Involuto? Forse sì, considerato l’esordio (il pur discontinuo ma vivace Confessioni di una mente pericolosa nel lontano 2002). Per lui, ultima stella novecentesca, il passato non è una terra straniera (a parte The Midnight Sky, per assecondare la moda distopica): il maccartismo del dopoguerra in Good Night, and Good Luck., i ruggenti anni Venti prima del crollo di Wall Street nella post-screwball In amore niente regole, la Seconda guerra mondiale in Monuments Man, il lato oscuro tra i Cinquanta e i Sessanta nel falso coeniano Suburbicon, il disincanto dei Settanta ne Il bar delle grandi speranze (e anche quando sta nel presente, Le idi di marzo, la chiave di lettura è la paranoia new-hollywoodiana).

Non fa eccezione Erano ragazzi in barca – in originale The Boys in the Boat, uscito nelle sale americane a Natale 2023 e da noi direttamente su Prime video – che conferma la tendenza di Clooney a guardarsi indietro, recuperando storie motivanti ma che non necessariamente interrogano l’oggi, quasi fossero racconti di un passato imbalsamato nella mitologia più che vivificato dalla memoria.

Tratto dal bestseller di Daniel James Brown, adattato da Mark L Smith, il film ricostruisce l’impresa della squadra di canottaggio statunitense che vinse la medaglia d’oro alle Olimpiadi di Berlino del 1936 (si vede anche Hitler, un po’ pupazzone). A formare il gruppo, che galvanizza un popolo devastato dalla Grande Depressione, un manipolo di outsider della classe operaia, studenti dell’Università di Washington che superano i figli di papà degli atenei più blasonati e diventano i simboli di una nazione in ricostruzione.

Erano ragazzi in barca
Erano ragazzi in barca

Erano ragazzi in barca

(Laurie Sparham/Metro-Goldwyn-Mayer Pictures Inc. All Rights Reserved.)

Con questo film rooseveltiano fuori tempo (massimo) ma che curiosamente sembra intercettare una galassia nostalgica affine a Joe Biden (quanto, pur sottotraccia, il patriottismo dell’elettorato conservatore), Clooney sogna Frank Capra, incrocia Peter Yates (All American Boys), calca Hugh Hudson (Momenti di gloria): la retorica dell’eccezionalismo americano (“Sulla mia barca non c’è posto per uomini comuni), la celebrazione dell’unione che fa la forza, il rapporto tra padri e figli (configurato in quello tra l’allenatore e gli atleti), il conflitto tra élite e popolo (la federazione riottosa a schierare una squadra della working class).

Rispetto a Il bar delle grandi speranze, che nella malinconia e nell’understatement trovava calore e sentimento, Erano ragazzi in barca è un racconto rétro che appare più compassato se non impagliato, che a forza di cliché resta sulla superficie dell’impresa e, nonostante un cast sulla carta accattivante (il più lanciato è il britannico Callum Turner, volto antico visto in Animali fantastici e Masters of the Air, mentre Joel Edgerton non ha molto da fare), sembra rivolgersi soprattutto a un pubblico âge senza evitare la risacca della noia. Le cose sono due: o Clooney è in un letargo lautamente foraggiato o ha perso lo smalto (comunque lautamente foraggiato).