Inverno 1999. Camilla e Silvestro - studenti fuori sede - si conoscono su un vaporetto. Lui fa di tutto "per essere notato", lei accetta di ospitarlo per una notte nel nuovo appartamento preso in affitto su un'isoletta della laguna veneziana. Non accadrà nulla, ma per entrambi è l'inizio di "qualcosa": da quel momento, si perdono e si ritrovano, ogni volta in inverno, ogni volta in differenti fasi delle rispettive esistenze. E, ogni volta, tra malcelata gelosia e passione frustrata, allontanano l'attimo che, molto probabilmente, li unirebbe per sempre.

Anche lo sbocciare di un amore, un po' come la vendetta, è un piatto che potrebbe essere servito "freddo": in dieci quadri, caratterizzati da sfondi funzionali e mai banali (la nostalgica umidità veneziana, il bianco glaciale di Mosca), l'evoluzione di un rapporto prende forma, si arresta, si modella, di pari passo alla crescita dei due protagonisti (Isabella Ragonese e Michele Riondino, davvero bravi tanto a sottrarsi quanto ad arrendersi alle emozioni), che in Dieci inverni - tante le stagioni che ci vorranno per completare parte del percorso - passeranno dalla tenera ingenuità dei diciott'anni alla tenera disillusione dei (quasi) 30. Un cammino sincopato, caratterizzato anche, e soprattutto, da quei sentieri nascosti (il resto del tempo, quello che non viene né mostrato, né spiegato allo spettatore), che il regista esordiente Valerio Mieli sa raccontare altrettanto bene, quasi quanto la struggente ballata di Vinicio Capossela ("Parla piano"), presente anche fisicamente in una scena a Mosca, riesce a sottolineare uno dei momenti più significativi del film, con Camilla e Silvestro mai così vicini, così lontani.