Registro corale e toni agrodolci per l'ottantaquatrenne mostro sacro della Nouvelle Vague Alain Resnais, che porta sul grande schermo Cuori tratto dalla commedia teatrale di Alan Ayckbourn Private Fears in Public Place (Piccole paure condivise). Protagonisti sei personaggi in cerca di una Parigi solo evocata, dove nevica costantemente, con i fiocchi che legano una scena all'altra. Tutto è piccolo, le case, gli uffici, i bistrot, le esistenze stesse, sospese in una terra paradigmatica che  scoperchia le camere e sovrappone pubblico e privato. Siamo dalle parti del teatro, più che del cinema, e Resnais chiede molto, se non tutto, ai suoi ottimi interpreti tra i quali, oltre ai fedelissimi Pierre Arditi e Sabine Azema e all'inarrivabile André Dussollier, spicca la nostra Laura Morante nel ruolo più sofferto del film. Di fronte a una camera che si muove - poco - con consumata esperienza, a dipanarsi è la miseria, la solitudine e la routine del contemporaneo vivere, che lo sguardo del regista prima sfiora delicato e "simpatico" e poi stigmatizza in tutta la sua tristezza. Non è un film entusiasmante - nemmeno lo vuole essere - Cuori, sceglie di costruirsi sull'intensificazione di scene e vissuti analoghi, (si) stanca abbastanza presto, mette sottovuoto ansie e timori, che sono, appunto, piccoli e condivisi. La riflessione sul tempo, sul Divenire e sulla Memoria, che aveva scolpito, tra gli altri, L'anno scorso a Marienbad e Hiroshima mon amour, ora è consapevolmente fagocitata dalle immagini, conclusa nell'hic et nunc dei quadri, quadri cartesiani in cui Resnais ancora non rinuncia a tracciare le coordinate rigorose e altere di una poetica compiutamente novecentesca. Invecchiato, Alain Resnais per Cuori ha voluto - dovuto? - cambiare ottiche, "limitandosi" a close-up psicologici del Presente. Ma non ha perso l'ambizione. E ora punta al paradigma minimal per non perdere il posto che gi spetta di diritto nel cinema e nel nostro immaginario collettivo. Un film piccolo, ma condivisibile.