A due anni dall'incursione nel mondo dello spettacolo parigino con La Danse (presentato a Venezia 66 nella sezione Orizzonti), Frederick Wiseman torna a raccontare la ville lumière con Crazy Horse, documentario sull'omonimo locale di cabaret che dal 1951 attira spettatori da tutto il mondo con raffinati show di nudo femminile.
Attesissimo Evento speciale per le Giornate degli Autori, il film riscuote applausi a scena aperta, ma lascia complessivamente inappagati. Fedele alla poetica del ritmo e della struttura attraverso un accorto uso del montaggio, visibile sin dagli esordi con Titicut Follies (1967), Wiseman ci guida nell'universo del burlesque mettendo in scena un “dentro” e un “fuori” il Crazy Horse, passando dalle strade di Parigi, affollate di gente comune e riprese in luce naturale, agli ambienti sensuali del locale, indugiando sui sofisticati giochi di luce e sull'originalità delle coreografie che ne hanno costruito la fama. Una volta “dentro”, assistiamo alla scomposizione del meccanismo produttivo della “macchina del piacere”: gli aspetti tecnici, ai confini dell'industria che stanno dietro ogni singolo show si alternano all'overdose dei corpi nudi delle ballerine durante gli spettacoli, investigati senza falsi pudori dalla videocamera. Chiamato sul palco ad introdurre la proiezione, Wiseman ha dichiarato laconicamente che “ogni film dovrebbe spiegarsi da sé”.
Eppure, al termine dello spettacolo, qualcosa continua a sfuggire: le vie della seduzione del Crazy Horse rimangono oscure, nonostante le verbose riunioni e interviste rilasciate da coreografi, registi e costumiste sulla qualità e sul successo degli spettacoli, e nonostante l'accenno di analisi del tipo di pubblico – maschile, ma soprattutto femminile - che affolla quotidianamente le serate del locale. Si direbbe un'occasione perduta, in un'epoca di erotismo e di pornografia esibite, per riflettere su un fenomeno – il burlesque - ormai entrato a far parte della cultura  popolare.