Edith e Rose. Puritana, conservatrice, irreprensibile inglese l’una; sfrontata, strafottente, anticonvenzionale irlandese l’altra.

La Bibbia mandata a memoria, la casa di famiglia rassettata in silenzio per la zitella; le risse al pub, un matrimonio alle spalle, un compagno e una figlia senza padre, invece, per l’immigrata.

Dopo la Grande Guerra sono diventate vicine di casa nella soporosa Littlehampton. La pace è sconvolta, però, da una catena di lettere oscene che, d’improvviso, piove addosso a Edith. L’onta per mamma Victoria e il tirannico papà Edward è massima. Il caso rimbalza dalla costa sud dell’Inghilterra alle cronache nazionali. La ribelle Rose finisce subito dietro le sbarre su denuncia di Edith, salvo uscirne su cauzione poco dopo. Intanto gli insulti si moltiplicano e colpiscono tutti i cittadini di Littlehampton, mentre incombe il processo sulla testa di Rose. Il Ministro incalza, il commissario locale traccheggia, così la poliziotta Gladys - altra immigrata sminuita in un mondo maschiocentrico - s’incarica, a rischio di perdere il posto, di rischiarare un caso che aspetta solo il verdetto definitivo per essere archiviato.

È l’irriverente, slabbrata satira al femminile di Thea Sharrock (Io prima di te e L’unico e inseparabile Ivan nel pedigree) che scommette sulla coppia d’assi Jessie Buckley e Olivia Colman (anche produttrice), al secondo, lodevole film insieme dopo La figlia oscura della neoregista Gyllenhaal.

Il pas de deux delle dive, messe a specchio in personaggi speculari, si rivela ispirato. Dalle loro scornate si sprigiona l’humour acre che si allunga su morale e costumi dell’Inghilterra primonovecentesca; sotto un caso clamoroso che all’epoca sconvolse l’opinione pubblica, nidifica la radiografia della mentalità britannica tra le guerre: reazionaria, ottusa, fallocentrica, pregna di moralismo, soprattutto asfissiata da una repressione protestante che non consente libertà e autodeterminazione alle donne.

Nella comica detective-story che più in là si lega a doppio filo al dramma di dissociazione psicologica, però, oltre al duo protagonista, si esalta un cast di grido: su tutti Anjana Vasan agente perspicace, la buffonesca Joanna Marion Scanlan e il ruvido Timothy Spall, notevole nella parte del padre padrone.

La regista modula i registri, ammicca al sarcastico, scivola nel grottesco, scoperchia i tabù, spernacchia maldicenze e moralismi non del tutto sperati. Soprattutto si dimostra capace di donare mobilità di sguardo e brio al copione di Sweet, altrimenti un po’ ingessato, perché incanalato sin da subito nella rivelazione della colpevole degli insulti slabbrati.

Oltre l’ipocrisia di massa, allora, finisce spernacchiato un maschile goffo, repressivo, ottuso, quando non spregevole e miserabile nel potere. Se tra le Cattiverie a domicilio, infatti, non c’è spazio per nessun uomo stimabile, a rinsaldarsi è il coraggio, la solidarietà, l’astuzia femminile.

Perché Sharrock parteggia e incoraggia le donne alla ribellione: umiliate o liberate, dissacranti o monacali. E noi con lei.