Gli esercenti lo aspettano come il Messia. Non a caso esce nelle sale il 25 dicembre (ed è la prima volta rispetto ai cinque precedenti), in qualcosa come 1000 sale.

Buen Camino segna il ritorno di Checco Zalone sugli schermi sei anni dopo Tolo Tolo – che l’1 gennaio 2020 stabilì il record d’incasso al primo giorno di programmazione per un film italiano (8,6 milioni di euro, fermandosi poi a poco più di 46 milioni di euro complessivi): ristabilito il sodalizio con Gennaro Nunziante (che oltre a dirigere il film firma con l’attore la sceneggiatura), Zalone ripropone la formula “esotica” del precedente che aveva anche diretto. Lì era l’Africa, qui le varie tappe del Cammino di Santiago, con partenza dalla Francia.

Diciamo che è un cammino “obbligato” però, perché il nostro è costretto a mettersi sulle tracce della figlia minorenne, Cristal (sì, come lo champagne, la interpreta Letizia Arnò) partita senza avvertire la mamma (Martina Colombari) e il nuovo compagno di lei. E lo fa con gli unici mezzi che conosce, a bordo di una Ferrari fiammante, vestito di tutto punto, con una sfilza di carte di credito a plafond illimitato: il fastidio è quello di aver dovuto abbandonare lo yacht gigantesco (lo Zalonius II) su cui si apprestava a toccare i cinque continenti (“Ma perché solo cinque? Facciamoceli tutti!”) in compagnia della fidanzata 25enne modella messicana e un manipolo di “amici” pupazzi tali e quali a lui (ma forse meno ricchi).

Buen Camino
Buen Camino

Buen Camino

Insomma, il canovaccio è plateale e lo svolgimento non è da meno: un (quasi) cinquantenne narcisista ed egoriferito (nel villone in Sardegna fervono i preparativi per accogliere gli 800 invitati alla sua megafesta), nullafacente ma ricco sfondato (grazie all’impero dei divani costruito dal padre, Alfonso Santagata, ora costretto in un letto per le conseguenze di un ictus), che per dirla come ha spiegato lo stesso Nunziante, “era padre, ma non lo sapeva, e torna sapendo di essere padre: è diventato quello che era”.

Paternalismo e paternità, Zalone camuffa il suo solito italiano medio (con tanto di orripilante patch cutaneo) innalzandone lo status (solamente) economico: la prima parte del film è giocoforza la più divertente, con lui che si concede ad un’intervista perché “è bello mostrare la ricchezza a chi non ce l’ha, dà speranza” e con la stessa, indomita cafonaggine, corrompe l’amica “cicciotta” della figlia per farsi dire dove trovarla.

Buen Camino
Buen Camino

Buen Camino

L’intento è sempre quello di non cedere alle “comodità” del politically correct – e vien da sé che non manchino volgarità e grana grossa, ad iniziare dal flash forward iniziale sul lettino dell’urologo spagnolo – con tanto di allusione (come da trailer) alle “scenografie” di Schindler’s List per commentare la disposizione dei posti letto in un ostello, la prassi è altresì quella abituale della battuta situazionista, a volte più riuscita (“Ho sempre portato a termine ogni cosa” – “Ma se non hai mai fatto un ca..o!” – “Ma l’ho sempre fatto fino in fondo”), a volte meno (vedi quella sul compagno drammaturgo impegnato dell’ex moglie, interpretato da Hossein Taheri, per giocarsi la freddura “è l’unico palestinese che ha occupato un territorio a Gaza, gaza mia”…), ma è inevitabile che il percorso, il buen camino di 800km (con tutte le difficoltà annesse) comporterà un cambio di prospettiva, la scoperta di altre ricchezze (quelle vere, degli affetti) e il ribaltamento radicale di un personaggio che strada facendo ritrova la naturalezza della calvizie, smette le pantofole griffate “da 3800k” per degli scarponi, scopre la prostatite (come da videoclip di lancio che qui torna per i titoli di coda) e, soprattutto, come detto, capisce cosa vuol dire avere una figlia.

Virata buonista? Sicuramente sì, ma in fondo è Natale pure per Checco Zalone.