La Padania e la Germania esistevano già, e pure le tasse esorbitanti; in compenso, a Roma c'era la peste. E c'era pure il Signore degli Anelli Alberto da Giussano e la sua Compagnia dell'Anello, o della Morte, che dir si voglia.
Sostenuto dal cieloduristico endorsement del Senatur, ecco il Barbarossa di Renzo Martinelli, kolossal cine-televisivo dal budget di 30 milioni di dollari e cast multitenico: il tedesco Rutger Hauer è il Barbarossa, l'israeliano Raz Degan Alberto da Giussano, la polacca Kasia Smutniak l'amata Eleonora, la francese Cecile Cassel Beatrice di Borgogna e l'americano F. Murray Abraham Siniscalco Barozzi (un'antifona più che un nome...). Vabbè, c'è di peggio: il film. Un anello con croce e acronimo CDM è il gadget promozionale, ma anche il film è un gadget: di quel vento del Nord, che spira dalla battaglia di Legnano del 29 maggio 1176 fino alla contemporanea Onda Verde.
Tra musiche roboanti e rumori assordanti, effetti poco speciali alla "voglio fa' l'americano, ma non ce la posso fare" e passepartout storici vari ed eventuali, Barbarossa viceversa non mortifica i suoi migranti: Rutger Hauer è senile ma fascinoso, la Smutniak bella, pazza e fuori luogo (tra una visione e l'altra, trova pure i Re Magi mummificati...), mentre Raz Degan (Paola Barale ed Ermanno Olmi in curriculum) parte male facendo del fratello la sua prima vittima, ma si ritaglia una brillante carriera da pierre della libertà.
Tra sgozzamenti truculenti e denominazioni per filo e per segno (Siniscalco Barozziiiiiiiii), amori letali e falci mortifere, Barbarossa si distende per 139 snelli minuti, in cui il procedere per sottrazione riguarda unicamente lo spessore delle mura della Milano che fu. Milano che nonostante il set low cost in Romania è popolata, in rigoroso campo stretto, da trenta o quaranta persone, le quali, miracolo, riescono pure a stendere le proto-Sturmtruppen in una guerra al terrore centripeto meno affollata delle consuete rievocazioni paesane.
Barbarossa? Piuttosto, Barbapossa. I lumbard capiranno...