Alla vigilia della seconda guerra mondiale, l'artistocratica inglese Lady Ashley (Nicole Kidman) lascia l'Europa per recarsi a Darwin, Australia. La donna vuol riportare a casa il marito, che da tempo si è ritirato nella tenuta di Faraway Downs ad occuparsi di mucche, "donzelle" aborigene e cavalli. Scortata da un rude mandriano (Hugh Jackman), scoprirà con orrore che il consorte è stato ucciso e il ranch rischia la rovina... Progetto inseguito per anni, l'Australia del genialoide Baz Luhrmann (Romeo+Giulietta, Moulin Rouge!) è un omaggio debordante ai monumenti hollywoodiani - kolossal alla Via col vento e alla Lawrence d'Arabia - da cui saccheggia filosofia (il film come impresa totale), struttura narrativa, archetipi e linguaggio. Sulla carta un'occasione unica: l'impianto scenografico (del premio Oscar Catherine Martin) offre al romanticismo kitsch del regista l'ideale cornice per dispiegare tutta la sua esuberanza immaginativa, mentre la capacità di (ri)maneggiare i generi può esaltarsi nel "film dei film" (in una sola pellicola: la commedia, il western, il melodramma, il musical e il war-movie). Peccando di prudenza invece, Luhrmann si accomoda sulla sua costosissima macchina del tempo - 130 milioni di dollari di budget (un record per il cinema australiano) - senza mai scendere, fiducioso che un decalco della mitica epopea del cinema basti e avanzi. Ritroviamo così lo stesso gigantismo produttivo, una travolgente storia d'amore sullo sfondo di un affresco storico-sociale (la seconda guerra mondiale, e pure la vergogna della "generazione rubata": i bambini aborigeni strappati dallo Stato ai loro genitori naturali), due smaglianti protagonisti (bravi la Kidman e Jackman, ma Vivien Leigh e Clark Gable erano un'altra cosa), i paesaggi mozzafiato e i tramonti di fuoco. Tutto come allora ad eccezione del pubblico che rischia - con mezzo secolo di cinema alle spalle - di prendere il giocattolone di Luhrmann come un classico riveduto. Ma non corretto.