Antoine (Denis Ménochet) e Olga (Marina Foïs) sono una coppia francese che ha deciso di cambiare vita. Da qualche mese si sono trasferiti nel piccolo villaggio di Bierzo, nella campagna galiziana. Agricoltori eco-sostenibili, si oppongono al piano che prevede l’installazione di altre pale eoliche e incominciano a restaurare i vecchi rustici con l’intenzione di attirare in zona i turisti.

Ma due fratelli nati e cresciuti lì, loro vicini di casa, incominciano un lento e inesorabile tiro al massacro nei confronti di Antoine.

Lo spagnolo Rodrigo Sorogoyen arriva per la prima volta a Cannes (sezione Première) con As bestas: abbandonata l’abituale Madrid dove ha ambientato Che dio ci perdoni e Il regno (entrambi disponibili su Prime Video), oltre alla recente, esplosiva miniserie Antidisturbios (Disney+), gira questo sesto lungometraggio in Galizia, di fatto capovolgendo lo scenario del precedente Madre, ospitato nel 2019 negli Orizzonti veneziani, ambientato nella località balneare francese di Vieux-Boucau-les-Bains.

As bestas
As bestas
As bestas

As bestas

Anche stavolta mischia attori francesi e spagnoli, portando alle estreme conseguenze l’incontro tra due diverse “culture”: da una parte i forestieri, eruditi, acculturati (lei ha quasi sempre un libro tra le mani), dall’altra i “montanari”, gente che non ha studiato (“qui puzziamo di merda”), gente – nella fattispecie i due fratelli Yan e Loren (Luis Zahera – già attore per Sorogoyen in Che dio ci perdoni e Il regno – e Diego Anido) – che subisce come un affronto il rifiuto da parte di Antoine di firmare a favore degli incentivi economici che arriverebbero per costruire il parco eolico.

As bestas (titolo molto bello che si rifà, lo capiremo in corso d’opera, a quella suggestiva scena iniziale in cui vediamo alcuni uomini tentare di serrare il muso di un cavallo per ammansirlo), in fondo, è tutto qui: a differenza dei precedenti lavori del regista madrileno – tra i talenti più luminosi del recente cinema internazionale contemporaneo – la linea è tracciata dall’inizio ed è quella per tutto il corso dell’opera.

Ci sono i buoni da una parte e i “cattivi” dall’altra: l’atmosfera minacciosa è data tanto dalle parole quanto dai fatti (incursioni notturne nel loro giardino, avvelenamento dei pozzi che rovinerà il loro raccolto, chi più ne ha più ne metta), Antoine inizierà a filmare di nascosto i loro incontri, per tentare di portare prove utili alla polizia (che, ovviamente, farà poco o nulla per evitare l’inevitabile).

E Sorogoyen, ancora una volta, dimostra di saper creare un clima di tensione crescente che è cifra riconoscibile del suo cinema, attraverso un indiscutibile sguardo nobilitato da un montaggio e da una colonna sonora – rispettivamente curati dai sodali Alberto del Campo e Olivier Arson – di fattura innegabile: quello che manca, rispetto ai lavori precedenti, è però quella marcata ambiguità che aleggiava intorno a qualsiasi personaggio dei suoi film precedenti, elemento chiave, imprescindibile, di una scrittura (sempre collaborazione con Isabel Peña) che sapeva entrare negli anfratti più reconditi di ogni carattere.

Sfumature che qui vengono meno, o che compaiono a tratti, vedi la fantastica sequenza del dialogo nel bar con cui Antoine vorrebbe tentare di distendere gli animi una volta per tutte: alla resa dei conti As bestas finisce per ridursi invece a “semplicistico” duello tra due parti che non riusciranno mai a scendere a compromesso.

E a poco serve l’ultima “fase” del film, anche la più noiosa a dire il vero: il compromesso alla fine, forse, arriverà. E naturalmente sarà per merito di Olga. Gli uomini, invece, come le bestie. Programmatico. Scontato.