Un thriller sulle traversie di un'anima. Quella di un uomo che si risveglia completamente sporco di sangue. Mistero sul come e il perché, pochi indizi, nessuna vera spiegazione. Se il giallo sarà parzialmente risolto nel corso del film, il vero cono d'ombra che avvolge Apan - opera seconda dello svedese Jesper Ganslandt, in cartellone alle Giornate degli Autori - resta tale fino alla fine, insondabile anticamera di volontà, gesti e reazioni, notte della ragione e dello spirito. Una notte lunga un giorno, quello che passiamo insieme a Krister, un istruttore di guida la cui vita viene sconvolta da un'immane tragedia: la moglie è stata ammazzata, il figlio è in fin di vita. L'uomo, il presunto colpevole. Ganslandt lo bracca, camera a mano e incedere nervoso, montaggio spezzato, silenzi e scatti d'ira improvvisi, azioni da decifrare, ambiente freddo e ostile, impietosamente fotografato da Fedrik Wenzel. La mostruosità del protagonista (perfetto nella parte Olle Sarri) è la punta dell'iceberg: quella vera non si vede, ma infetta ogni cosa. Lo stile strizza l'occhio al Dogma, il finale è ermetico, la maniera più di un sospetto: ma il ritmo tiene e l'orrore è sempre dietro l'angolo. Dostoevskijano.