In origine il titolo era Senada. La protagonista del docufilm di Danis Tanovic, uno dei più riusciti degli ultimi anni. Senada ha due figlie. Ma un terzo è in arrivo e Nazif riesce a malapena a sbarcare il lunario come raccoglitore di ferro, ossia corre avanti e indietro per le strade desolate della campagna per cercare pezzi da vendere. Sono scarti di qualsiasi tipo, quando è fortunato reti di materasso: più ferro raccoglie più soldi racimola. Poche manciate che non servono a quasi nulla, vive in una baracca, con pochi stracci, elettricità rubata, insomma la miseria vera. Un giorno rincasando, Nazif trova Senada a terra in preda al dolore. La macchina, l'unica cosa che possiede, lo lascia a piedi. Incomincia l'odissea per arrivare al pronto soccorso più vicino: la donna ha avuto un aborto spontaneo e ha in grembo un feto morto di cinque mesi. Le condizioni sono critiche e dovrebbe essere operata immediatamente ma non ha un'assicurazione sanitaria statale, l'ospedale le chiede di pagare 980 marchi bosniaci (500 euro). Nonostante le suppliche di Nazif, a Senada viene negato l'intervento chirurgico. I due sono costretti a tornare a casa presso la loro comunità Rom nel cuore della Bosnia ed Erzegovina. Ma prima di cedere Nazif le escogita tutte, anche a costo di smembrare pezzo per pezzo la macchina, per venderla insieme agli altri pezzi di ferro. Non finisce così questa storia di disperazione, non c'è neanche il lieto fine. Tanovic filma senza aggiungere nulla, non ne ha bisogno, Senada (Alimanovic) e Nazif (Mujic) sono i loro veri nomi, lo squallore è reale dalla prima all'ultima scena.