Susie Salmon, quattordicenne, viene brutalmente assassinata un pomeriggio di dicembre del 1973. Sospesa tra cielo e terra, la ragazzina continua ad osservare il mondo che ha da poco abbandonato, la disgregazione emotiva dei suoi affetti più cari all'indomani della sua scomparsa, la meticolosa parvenza di un'esistenza ordinaria e sotto le righe del suo aguzzino, Mr. Harvey (Stanley Tucci, candidato all'Oscar come miglior attore non protagonista), loro vicino di casa.
Dopo i fasti della trilogia del Signore degli anelli e l'esperimento King Kong, Peter Jackson porta sullo schermo il bestseller di Alice Sebold, vero e proprio caso editoriale del 2002, ricreando a propria "immagine e somiglianza" tanto l'universo onirico e fantasy in cui si ritrova "imprigionata" la protagonista (Saoirse Ronan, brava), quanto la parallela serie di eventi "terreni" che la sua dipartita produce: mantenendo inalterata la struttura della narrazione post-mortem che caratterizza il testo di partenza, Jackson trasforma Amabili resti in una sorta di "iperfilm", spingendo più volte lo spettatore a perdersi nelle distese vastità (a volte coloratissime, altre di una cupezza disarmante) abitate dallo spirito di Susie e a ripiombare nel dolore quotidiano di una famiglia - ben equilibrati Mark Wahlberg e Rachel Weisz, forse troppo sopra le righe la nonna Sarandon - che rischierà lo sfacelo prima di ritrovarsi. In mezzo, la componente thrilling, affidata soprattutto alla straordinaria metamorfosi di Stanley Tucci e alla sequenza forse più riuscita dell'intero film (l'intrusione nella casa del killer da parte della sorella di Susie), apoteosi di tensione raggiunta grazie ad un efficace utilizzo del sonoro e di particolari microcamere, altre volte sfruttate per inquadrare il volto di Mr. Harvey con inquietanti close-up. Fatte salve alcune ottime soluzioni, dunque, il film di Peter Jackson - dimenticato sia dai Golden Globe sia dai prossimi Academy Awards (l'unica nomination ottenuta è quella per l'attore non protagonista), mezzo flop ai botteghini USA (all'incirca 40 milioni di dollari incassati) - sembra però soccombere sotto il peso di una messa in scena che tende a divorare sentimenti ed emozioni, relegando queste ultime in alcuni inserti a volte purtroppo indigesti e sovraccaricati da un commento musicale (curato da Brian Eno, che in apertura non dimentica la splendida "Music for Airports") via via sempre più ingombrante. Di veramente amabile, alla fine, quel che resta è poco più di qualche suggestione.