Si avvicina il giorno dell’Indipendenza di Israele, data che per i palestinesi equivale alla nakba (la catastrofe), una giornata di lutto. 

Alam (bandiera in arabo) è il lungometraggio d’esordio di Filas Khoury, in concorso Progressive Cinema alla Festa di Roma (dopo il passaggio a Toronto): coraggioso per tematica, abbastanza scolastico nello sviluppo, il film (girato in Tunisia per motivi di sicurezza) segue un gruppetto di studenti di una scuola superiore araba israeliana. 

Tra questi, Tamer (Mahmood Bakri), che per fare colpo sulla bella, nuova arrivata Maysaa (Sereen Khass), decide di prendere parte alla misteriosa “operazione bandiera” alla vigilia del Giorno d’Indipendenza di Israele: togliere la bandiera israeliana dal tetto della scuola per sostituirla con quella palestinese.

Fieramente schierato, Alam inquadra questo gruppetto di adolescenti tra ribellioni scolastiche e spinte edoniste, in un contesto dove l’affermazione dei giovani palestinesi è negata da una tragedia che dura dal 1948.

Da questo punto di vista, l’aspetto più interessante del film è quello del confronto e del conflitto generazionale: in tal senso figure come il professore (che piega la storia secondo la narrazione israeliana) e il padre di Tamer (che lo sprona a tenersi lontano da qualsiasi forma di ribellione) segnano il passo di una rassegnazione che, invece, per i ragazzi più giovani non è così facile da accettare.

Khoury non lascia chissà quali segni particolari con la sua regia, insiste anche troppo con alcuni dettagli legati a cimeli politici e cinematografici (la tazza che “suona” il motivetto dell’Internazionale, la foto incorniciata dell’anziana colpita nella Corazzata Potëmkin...) ma gli va dato atto di saper calare il peso di una simile tragedia (quella dei territori) nella quotidianità, senza ricorrere al ricatto emotivo, piuttosto cercando di dare voce a questa nuova generazione, evidentemente trascurata mediaticamente, che prova a resistere con orgoglio, senza violenza. 

E ragiona, come da titolo, sul senso simbolico e non solo delle bandiere: “Il primo atto di libertà è issarla, l’ultimo è bruciarla”. 

E bruciare tutto è l’ultima possibilità, quella rimasta a chi, come lo zio di Tamer, arrestato anni prima per “terrorismo”, ora si è tirato fuori dalla coesistenza sociale, bruciando qualunque cosa gli capiti sottomano. Ma, naturalmente, non può essere questa la strada.