"Devo essere quasi morto per avere delle idee". Dopo i dolorosi, deludenti tentativi (Takeshis' e Glory to the Filmmaker!) di portare sullo schermo il vuoto creativo e artistico che - per sua stessa ammissione - lo aveva investito da qualche anno a questa parte, Takeshi "Beat" Kitano torna nuovamente in Concorso a Venezia per chiudere (?) un'ideale trilogia sulla "morte" dell'artista, scegliendo (fortunatamente) non più la via dell'assurdo cosmico ma ripercorrendo, in maniera lineare, l'infanzia, la crescita e la definitiva (s)consacrazione di un pittore (Machisu il nome del personaggio, interpretato dallo stesso "Beat" nell'ultima fase del racconto) che non riuscirà mai ad affermarsi.
Pur non disdegnando l'ormai abituale, ironico tocco (lo scemo del villaggio, i fallimentari e pericolosi tentativi di action-painting, l'incontro in un bagno pubblico con Susumu Terajima, attore sempre presente nelle sue pellicole più fortunate, come Hana-bi e Sonatine), Kitano riesce nella non semplicissima impresa di riportare il suo cinema a livelli che solo un anno fa sembravano ormai dimenticati. Certo, il regista nipponico non si preoccupa poi molto di criptare la metafora già facilmente intuibile dal paradosso di Zenone che dà il titolo al film (l'infinita corsa compiuta dall'artista per raggiungere l'utopica affermazione), ma è proprio l'indiscutibile fruibilità del messaggio - ovviamente radicato sul percorso autobiografico dello stesso Kitano, che ripropone ancora una volta dopo il Leone d'Oro Hana-bi suoi dipinti personali - a regalare quel misto di ilarità e commozione che non potrà lasciare indifferenti.
"Devo essere quasi morto per avere delle idee", dirà Machisu alla comprensiva moglie che tenta suo malgrado di tenerlo più tempo possibile immerso nell'acqua della vasca da bagno: chissà che gli ultimi anni trascorsi quasi in apnea da Kitano non ci abbiano restituito il gigante di un tempo.