Seppure annunciato in cartellone, il vero film cinese a sorpresa è questo Taojie di Ann Hui: a sorpresa, perché da una storia piccola, semplice e in fondo anche banale, la regista ha tratto una storia che sa andare al cuore dello spettatore in modo diretto, senza orpelli di alcun genere, rivelando una grande attrice, Deanie Yip.
Il film racconta di Tao, donna di mezza età che a lungo è stata la tata di un bambino che, ormai adulto, è diventato un produttore cinematografico: dopo un infarto e a causa di una malattia, Roger, il produttore, comincia ad aiutare la donna e ad accudirla nei giorni che la separano dalla morte.
Una sceneggiatura diretta e pulita, ispirata a una storia vera, permette la realizzazione di una riflessione sulla vita, la vecchiaia e la morte, in cui la lezione morale del cinema di Ozu diventa puro atto comunicativo, più che indicazione di stile. Il film non racconta i legami tra Tao, la sua famiglia inesistente, le persone che la circondano, né vuole fare facile psicologia della terza età, ma descrive l'arrivo della vecchiaia dal di dentro, legandosi al quotidiano, senza fare sconti allo spettatore quanto alla sgradevolezza della mancanza di lucidità o salute, ma anche senza perdersi nell'enfasi sensazionalista. Attraverso tocchi ironici e delicati che seguono il crescendo emotivo, Hui saluta semplicemente un persona, unica ma universale, e in filigrana saluta un modo di fare cinema che le industrie e i divi (gustosi camei di Tsui Hark e Sammo Hung e molti altri) hanno definitivamente soppiantato.
Struggente più che commovente, il film soffre di un approccio non sempre definito e qua e là la sceneggiatura gira a vuoto, ma il modo in cui la regia sa costruire e descrivere il congedo merita attenzione e la signora Yip, che regge sulle spalle l'intera impalcatura della pellicola merita la Coppa Volpi a Venezia. Oltre alla nostra gratitudine.