La visionarietà di un cineasta si può cogliere anche nel bagliore di uno sguardo, nella sfumatura di un gesto, nella minima smorfia di un volto. Anche con il suo film apparentemente più normale, più di genere, più su commissione, Cronenberg ci ricorda questa sua qualità: saper leggere il presente nelle pieghe di una storia di cinema. Qui la storia è di quelle da film noir: un uomo, che insieme alla sua famiglia conduce un'esistenza pacifica in una cittadina della provincia americana, affronta e uccide due criminali. L'atto, che lo proclama eroe, rivela in realtà una doppia natura dell'uomo, una sua doppia identità, una sua doppia vita. In fuga dal suo passato l'uomo è richiamato allo svolgimento coatto di una dinamica di violenza che non ha mai fine. Lavorando su un soggetto da fiction classica nella maniera più lineare possibile, il regista canadese realizza uno dei più duri atti d'accusa all'America, alla sua cultura della frontiera, al suo compito di guardiano della sicurezza del mondo, ma anche all'uomo in generale, nelle radici profonde del suo essere. A History of Violence è infatti una trasparente metafora del sogno americano, trasformatosi in incubo nel corso del tempo, ma anche la pessimistica e per nulla rassicurante visione di un'umanità costretta a convivere con la sua parte peggiore. La vicenda di Tom Stall, che si risveglia alla sua vera natura ogni qualvolta la minaccia entra in gioco, non è solo la mirabile trasposizione del fortunato personaggio di un fumetto, ma anche il frutto di una messa in scena che lavora su un passato sepolto senza mai fare ricorso all'uso didascalico del flash back, un lucido lavoro di direzione d'attori (da Viggo Mortensen a Ed Harris a Maria Bello), un'incursione nell'oggi che ci rivela l'oscuro domani del mondo.