(Cinematografo.it - Adnkronos) - "Non so se questo sarà davvero il mio ultimo film ma un po' ci spero e se dovesse essere così sarei soddisfatto. Però credo nel destino e dunque vedremo".
Il maestro taiwanese Tsai Ming-liang parla così del suo futuro, in occasione della presentazione in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia di Jiaoyou (Stray Dogs, "Cani randagi" in italiano) in cui segue la storia di un uomo e dei suoi due figli che vagano ai margini della moderna Taipei, dai boschi e i fiumi della periferia alle strade bagnate di pioggia del centro città. Di giorno il padre racimola una misera paga come uomo-sandwich per pubblicizzare appartamenti di lusso, mentre i due bambini sopravvivono con campioni gratuiti di cibo in giro per supermercati e centri commerciali. Ogni sera la famiglia trova riparo in un edificio abbandonato per condividere un giaciglio e un piatto di verza. Fino all'arrivo di una donna che sembra poter cambiare i loro destini.
"Racconto la storia di un buono a nulla, le uniche presenze nella sua vita sono i suoi due bambini e sullo sfondo c'é una città che è diventata una discarica per cani randagi", spiega il regista che segue il protagonista per 138 minuti con la lentezza tipica dei suoi film. "Il mio cinema è così, vede la macchina da presa seguire un personaggio che poi si trasforma, fa un percorso. E noi riusciamo a vedere questo percorso proprio perché è lento. A volte vorrei essere ancora più lento, per me la lentezza è una cosa molto bella", aggiunge il regista che a Venezia ha vinto il Leone d'Oro nel 1994 con Vive l'amour. Tsai Ming-liang ammette di trovare "disorientante la troppa velocità della maggior parte dei film di oggi, soprattutto quelli americani". "Ma penso che ci sia e ci sarà un pubblico che gradisce vedere anche film più lenti. Io non riesco però a fare film pensandoli per il pubblico, non riesco a costringere la mia creatività. Per questo non so se farò altri lungometraggi. Ma negli ultimi quattro anni ho girato anche moltissimi corti e potrei continuare a fare questo", dice il regista.
Quanto alla censura presente in diversi paesi asiatici il regista aggiunge: "se permetteranno di vedere questo film vorrà già dire che è cambiato qualcosa. Ma la censura più forte non è quella politica ma quella economica", sottolinea il regista che sta pensando al ritiro proprio perché ha difficoltà a reperire fondi per girare i suoi film che hanno tempi di produzione molto lunghi. "Noi abbiamo avuto pochissimi soldi per questo film - sottolinea - ma questo ci ha reso più liberi e in fondo questo è anche il significato del film: quei cani randagi in fondo sono le persone più libere".