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“Avevo la necessità di raccontare uno stato di cose che non può non interessare la maggior parte degli individui della mia generazione”. Ne è convinto Teo Takahashi, ventiquattrenne, che ha scelto di esordire con una docufiction ambientata nel centro di recupero per la tossicodipendenza di Villa Maraini a Roma, Vietato Morire. Prodotta da Andrea Pirri Ardizzone, è il frutto di un'amicizia, quella tra il regista e il giovane produttore romano Marcello Romani, che nel film si esibisce alla chitarra cantando una pizzica. Costato circa 6 mila euro, post produzione inclusa, Vietato morire uscirà nelle sale del circuito di Distribuzione Indipendente il 14 febbraio e on demand, una settimana dopo, in versione integrale, su www.onair.it.
Quattro esistenze border line si incrociano all'interno della comunità di recupero della Villa e cercano di affrontare, insieme agli operatori sociali, spesso ex-tossicodipendenti, l'insormontabile muro dell'abbandono per intraverdere un lontanissimo futuro di redenzione. La filosofia di Villa Maraini è quella della “riduzione del danno” e prevede una cura personalizzata, un percorso, uno sviluppo che progredisce insieme a chi chiede aiuto. “Abbiamo fatto un gruppo per presentare il progetto e subito c'è stata una grande partecipazione, molti ragazzi hanno fatto anche ruoli tecnici”. Come in Amore tossico (1983), anche qui gli attori sono stati tossicodipendenti e ospiti del centro di accoglienza. “Teo lo abbiamo avuto in casa un mese e mezzo”, ricorda Giancarlo Rodoquino, uno dei responsabili. “Si è creata – continua il giovane filmmaker – una particolare alchimia durante le riprese. Quello che si vede sullo schermo è una prova attoriale di gente che non aveva nessuna espserienza. Pier Paolo Pasolini, che cito esplicitamente nel film, diceva che il cinema è il linguaggio scritto della realtà. Non sempre la realtà la possiamo catalogare e sfruttare senza far nulla, molte volte diventa un ingrediente cosciente dell'opera”.
Il protagonista, Patrick Ramhalho, diploma da fonico e apprendista tatuatore, era solo uno degli utenti dell'ambulatorio e adesso è parte attiva nella comunità. “Ho interpretato me stesso, mi sono appassionato al progetto e ho trovato una spinta per frequentare Villa Maraini”. Per Arianna Di Cori, anche lei nel cast, l'incubo della dipendenza è finito, “ma restano le ferite e questo siamo riusciti a comunicarlo nel finale, sempre e comunque aperto”. Teo Takahashi, invece, il suo percorso cinematografico lo ha appena iniziato, ma pensa già al futuro: “Vorrei dedicarmi a qualcosa di fantascientifico perché andiamo pericolosamente verso un assetto del potere orwelliano”. Il futuro di Villa Maraini purtroppo è incerto: “Stiamo combattendo con la Regione Lazio per il metadone – dice uno degli operatori sociali – che, dopo un anno, non ci ha ancora risposto. Noi non prendiamo lo stipendio da quattro mesi”.