Nonostante l’aspetto dimesso, Mike Leigh è un uomo combattivo. Lo è soprattutto come regista, in modo molto diverso dal suo amico Ken Loach (“Anche se mi capita di frequente che ci confondano e che mi dicono ‘Ho molto amato il suo film sulla guerra civile spagnola'”). Il suo ultimo film, Peterloo - già in concorso alla scorsa Mostra del Cinema di Venezia, dal 21 marzo in sala con Academy Two - racconta un massacro che la polizia britannica compì su una folla inerme e pacifica per sedare una protesta democratica.

“Quello della sommossa di Peterloo - ci racconta - è uno dei segreti meglio mantenuti della storia inglese, persino chi è originario di quelle zone ne sa poco perché non se ne parla a scuola, ed è strano e interessante. È curioso perché è un evento importante, una pietra fondamentale nella costruzione della democrazia inglese e mi sembrava che fosse anche un argomento con dei risvolti rilevanti anche nel panorama attuale, a maggior ragione che abbiamo cominciato a pensare al film prima della Brexit, prima di Trump, della crescita delle destre in Europa e nel mondo, della crisi dei rifugiati dovuta al crollo delle democrazie in certe parti del mondo. Sono temi che hanno a che fare con le questioni quotidiane della vita di ognuno”.

Una delle questioni è la parola, la sua cura e di conseguenza quelle delle idee, come valori fondanti di una democrazia e del suo processo, in un momento storico in cui le bugie diventano veicolo di comunicazione e informazione: “Ciò che ho trovato interessante durante le ricerche è che i giornali raccontavano le notizie in modo ricchissimo, dettagliato, inimmaginabile oggi. C’è una sorta di purezza in questo: il valore di idee ben ponderate è in pericolo. Questo portava anche il popolo ad avere fame di cultura e istruzione perché avrebbe permesso loro di votare. Adesso è tragico vedere che i ragazzi non prendono seriamente l’istruzione, così come possono votare ma non votano”.

Mike Leigh
Mike Leigh
Mike Leigh
Mike Leigh

Una sfida per Leigh era dare il giusto senso dell’immagine a un film che ha come cardini le parole, i discorsi e anche in questo caso è tornata utile la pittura: “Rispetto a Turner, il mio film precedente (sul celebre pittore inglese, N.d.A.), non avevo dei riferimenti precisi per l’aspetto visivo del film. Però ci siamo affidati al periodo storico del film, un periodo di grandi caricaturisti inglesi. Abbiamo trovato quei disegni molto interessanti soprattutto per il modo in cui ritraevano la famiglia”.

Peterloo è un film molto più complesso della media dei film del regista, nel numero di personaggi e set e nell’imponenza di alcune sequenze, come il finale che mette in scena il massacro. Una differenza che ha imposto a Leigh alcune riflessioni: “Affrontando un film come questo ho pensato che dovessi anche pormi delle questioni filosofiche, non solo tecniche, perché come come tutti i miei film anche questo rispecchia il mio modo di vedere la vita, i personaggi, gli individui. Ho preparato tutti dettagli della sequenza, ho collaborato minuziosamente con i coordinatori degli stunt, gli addestratori di cavalli, gli attori. Si è trattato di portare in vita i dettagli dei personaggi e dell’evento. È stato un lavoro di grande collaborazione e organizzazione che ci ha permesso di non operare nel modo meccanico di una produzione hollywoodiana, ma in maniera più organica”.

Una maniera che il film traduce in parole che sanno colpire il cuore e la mente, ponendo un’alternativa a tutte quelle politiche che si occupano solo della “pancia” degli elettori.