Torneranno i prati, e torna la Prima Guerra Mondiale: è il nuovo film di Ermanno Olmi. Nel centenario del primo conflitto mondiale, riprese sull'Altopiano dei Sette Comuni (Asiago, Vicenza), nel cast Claudio Santamaria, Andrea Di Maria, Francesco Formichetti, Camillo Grassi e Niccolò Senni, soggetto e sceneggiatura dello stesso Olmi, produzione Cinema Undici e Ipotesi Cinema con Rai Cinema, siamo sul fronte Nord-Est, dopo gli ultimi sanguinosi scontri del 1917 sugli Altipiani, e – promette il regista 83enne – “la pace della montagna diventa un luogo dove si muore: tutto ciò che si narra in questo film è realmente accaduto, e poiché il passato appartiene alla memoria, ciascuno lo può evocare secondo il proprio sentimento”.
Otto settimane di riprese, due trincee ricostruite a Val Formica e Val Giardini, tre milioni e 200mila euro di budget, Banca Popolare di Vicenza, Edison, Nonino distillatori e Vicenza Film Commission nel pacchetto produttivo, “il miglior modo di celebrare il centenario – dice Olmi – è capire perché è successo: noi oggi siamo a una vigilia che rischia di assomigliare molto a quella della Prima Guerra Mondiale con conseguenze devastanti: la celebrazione deve essere ‘voglio capire perché', perché la guerra non succeda un'altra volta”.
“Negli anni ‘80 storici austriaci e italiani sono stati incaricati di raccontare la Prima Guerra Mondiale, ma viene buono che quel scriveva Raymond Chandler ‘Sapeva veramente tutto, ma solamente quello', perché non conoscono direttamente la realtà di cui vanno parlando. Io ho letto, riletto libri di testimoni diretti della guerra, come il mio amico Mario Rigoni Stern, Gadda, Lussu, Weber e altri: pagine di straordinaria sensibilità percettiva nel cogliere quelle sfumature che lo storico di professione non può avere. Ma oltre a questi autori, che hanno vissuto ma anche metabolizzato quegli eventi nello scrivere i loro romanzi, ho letto pagine di anonimi: c'era il nome in fondo, ma era quello di chi non ha nome. La verità l'ho trovata lì. Allora, chi scrive la storia? Quella ufficiale gli intellettuali, quella reale coloro che non hanno parola”. Tra le testimonianze dirette, lo steso padre di Olmi e Toni il Matto, un pastore che combatté sull'Altopiano: “Nel ‘14-'15 in Italia sono successe cose vergognose, si sono mercanteggiate le condizioni di convenienza: se entrare o meno in conflitto, se schierarsi con gli austriaci o non belligerare, ma casa Savoia, sempre distratta nei confronti della storia, ha ritenuto più conveniente legarsi alle nazioni che avevano bisogno di mercati in Europa, l'Austria-Ungheria, un po' come oggi la Merkel. Fate questo lavoro, storici, e vedrete – tuona il regista - quanti fatti vergognosi di cui dobbiamo arrossire e abbassare il capo”.
Dunque, l'urgenza di questo film, Torneranno i prati, ambientato nell'autunno del 1917, “il preludio di Caporetto, il preludio della disfatta: racconto di come dagli alti comandi vien l'ordine di trovare un posizionamento per spiare la trincea avversa: si finisce accoppati, ma l'ordine è arrivare là”. Probabilmente lo vedremo alla Mostra di Venezia, per ora Olmi rivela una battuta sintomatica del film che definisce ‘onirico': “Dopo una disfatta, tutti tornano a casa loro e dopo un po' tornerà l'erba sui prati”. La trincea è un avamposto, un caposaldo italiano sull'Altopiano e, continua il regista, ci sono “due personaggi che fanno prevalere la propria coscienza sulle esigenze militari dei comandi superiori: disobbediscono, e la disobbedienza è un atto morale che diventa eroicità quando la paghi con la morte. Uno è un alto ufficiale, l'altro il solito anonimo soldatino il cui nome non significa nulla: entrambi hanno la coscienza di disobbedire. Nel processo, Eichmann sosteneva ‘Abbiamo obbedito a un ordine', ma no: non ci sono ordini, quando un ordine è un crimine”. E Olmi affonda: “Sui monumenti che ancora oggi ritraggono gli alti comandanti, bisognerebbe scrivere sotto criminale di guerra”.