E' tornato Salvatore Mereu. A cinque anni dal folgorante esordio a Venezia con Ballo a tre passi, il regista vincitore della Settimana della Critica conferma la sua stoffa anche alla Berlinale. A convincere, nella sezione Panorama del 58° Festival, è questa volta Sonetàula, storia di formazione in una Sardegna arcaica e dimenticata, per cui è tornato ad affidarsi a dialetto e attori non protagonisti. Scelta coraggiosa, che il cartellone ha però subito ripagato, offrendo una prestigiosa vetrina al film, che la Lucky Red porterà in sala dal prossimo 7 marzo: "Sono molto felice di essere qui a Berlino. Per arrivare nei cinema nel migliore dei modi, avevamo bisogno di un festival importante e Berlino mi sembrava quello più giusto". Il fulcro della storia è in gran parte nel titolo, che il film ha ripreso dal romanzo di Giuseppe Fiori a cui è ispirato: "In sardo Sonetaula significa "rumore di legna". E' il nome che nel libro danno al protagonista, per via della sua magrezza scheletrica. Un ragazzino che cresce senza il padre, accusato di un delitto che non ha commesso, e che viene quindi educato dal nonno alla dura legge dei campi, per poi ritrovarsi bandito, senza quasi accorgersene". Tutto inizia a Orgiadas, entroterra di Nuoro, nel lontano 1938. Del tredicenne Sonetaula apprendiamo subito l'esistenza povera, nel cuore brullo della Sardegna arcaica. Muri in pietra e una coperta per dormire è quanto gli offre la vita oltre al pascolo. L'improvvisa partenza del padre, inviato al confino a Ustica con l'accusa di omicidio, stravolge però la sua esistenza, consegnandolo alle cure del nonno: "Leggendo il libro - spiega Mereu - ad affascinarmi è stato soprattutto il senso di perdita e disperazione, di un vita non vissuta fino in fondo". Già segnato dalla precoce esperienza, il giovanissimo protagonista si fa da allora sempre più schivo e diffidente. I suoi giorni trascorrono fra spianate brulle e spazzate dal vento e giacigli di fortuna, appena riscaldati dal fuoco: "E' una storia apparentemente lontana da noi, perché collocata in Sardegna fra le due guerre. In verità potrebbe accadere ovunque e a chiunque di noi. Lo considero in fondo un romanzo di formazione: la storia di un ragazzo che si perde e non riesce a vivere fino in fondo la sua esistenza". Prepotente, dalla parabola di Sonetaula, emerge però lo stretto legame con la terra in cui vive: "Mentirei se dicessi che non è vero. Certo è però che non volevo mettere l'accento su questo aspetto. Più che concentrarmi sull'ineluttabilità del destino, volevo sottolineare le particolarità della Sardegna. Una terra in cui, come nel film i soldati, la storia sembra passare senza quasi lasciare il segno". Dei tredici anni in cui seguiamo la vicenda, unico segno tangibile sono infatti i progressi tecnici. La comunità di Orgiada festeggia l'arrivo dell'energia elettrica, alla fine compare addirittura il cinematografo. Per il resto niente, soltanto sguardi profondi e volti scavati, che sembrano parlare di una dimensione antica e dimenticata: "Come in Ballo a tre passi sono ricorso ad attori non professionisti. Per dare più verità al racconto, ma anche per poter scegliere di volta in volta le facce che ritenevo più giuste. Questo non significa però che abbia un pregiudizio verso gli attori. Stavolta c'è anche il grande Giuseppe Cuccu di Banditi a Orgosolo, che ho conosciuto proprio quando De Seta è venuto a proiettare il film in Sardegna". Del film si parlava ormai da anni. Se Mereu è riuscito a completarlo soltanto ora, lo si deve alle coraggiose scelte che ha compiuto in nome di realismo ed efficacia narrativa: "Il fatto è che ho deciso di affrontarlo come fosse un documentario e non con i mezzi tradizionali di un film industriali. Principalmente perché volevo che si venisse a creare la massima naturalezza possibile, soprattutto con i non attori. E poi e perché giravamo in luoghi spesso molto difficili da raggiungere. Il risultato è stata una grandissima libertà, compresa quella di girare addirittura in sequenza. Una possibilità straordinaria, che ci ha consentito fra l'altro di seguire il ragazzino protagonista nel corso della sua vera crescita". In nome della stessa efficacia narrativa, Mereu ha poi sacrificato l'italiano in favore del sardo: "Non ho minimamente pensato che effetto possa avere sul pubblico. L'uso del dialetto e dei sottotitoli potrebbe forse essere un deterrente. Superato il primo impatto, quella che ci si trova davanti è una storia che parla a tutti: una storia d'amore, di crescita, di opportunità negate".