Al crepuscolo del XX secolo, nella città “un tempo nota come Leningrado”, l'ex colonnello dell'Armata Rossa Sergej Orlov, eroe dell'Afghanistan, sopravvive lavorando per una delle tante ditte di sicurezza private nate in Russia dopo il crollo del comunismo. Una nuova commessa lo porta in Iraq assieme a Peter Jennings, un ufficiale inglese passato ai sovietici alla fine degli anni Settanta, e altri mercenari. Sembrerebbe una missione come un'altra, ma…
E' la scarna sinossi de L'arte di uccidere un uomo (Baldini Castoldi Dalai Editore, pp. 352, € 19), romanzo d'esordio di Giaime Alonge, docente di Storia del Cinema all'Università degli Studi di Torino e co-sceneggiatore de I nostri anni (2000) e Nemmeno il destino (2004) di Daniele Gaglianone.
“Alonge scrive come uno Sven Hassel dell'era post-bipolare. è un cantore alla Peckinpah di questo West il cui crepuscolo si allunga ovunque”, dice Wu Ming 1, e c'è da sottoscrivere. Combinando storia e atmosfere da I magnifici sette con una scrittura gustosamente cinematografica, senza orpelli né sovraesposizioni, Alonge ci porta in una terra di confine in realtà molto vicina e paradigmatica, in cui i ruderi ideologici ed esistenziali ci accompagnano in un presente nichilista e nonsense, pervertito senza soluzione dal denaro.
L'arte di uccidere un uomo verrà presentato al Cinema Massimo di Torino il 3 febbraio alle ore 20.30: con l'Autore, interverranno Daniele Gaglianone e Giovanni De Luna. A seguire, verrà proiettato La croce di ferro (1977) di Sam Peckinpah.