Prosegue con successo la retrospettiva Orizzonti 1960-1978, a cura di Enrico Magrelli, Domenico Monetti e Luca Pallanch, che sta riportando alla luce opere sperimentali dimenticate nel flusso della memoria del cinema italiano: dal restauro, a cura della Cineteca Nazionale e della Cineteca di Bologna, del capolavoro dell'underground italiano Anna di Alberto Grifi e Massimo Sarchielli, con la presentazione di sequenze inedite prelevate dalle 11 ore di girato del film, preludio a un recupero completo dell'opera; all'omaggio a Carmelo Bene, ripartendo dal suo primo cortometraggio, Hermitage, interamente girato in una stanza d'albergo, accompagnato dalle prove teatrali, nell'appartamento dell'attrice Maria Monti, immortalate in Bis dal compianto filmaker Paolo Brunatto, e dalle sperimentazioni vocali del saggio di diploma CSC Il canto d'amore di Alfred Prufrock di Nico D'Alessandria. La voce di Carmelo Bene, inseguendo, sulle note dissonanti di Luciano Berio, i versi di T.S. Eliot, fa da ideale colonna sonora alla retrospettiva, nella quale i cortometraggi di Mario Schifano esibiscono corpi e volti di occasionali interpreti (Marco Ferreri, Renato Salvatori, Annie Girardot, Keith Richard, Gerard Malanga) cancellando parole, suoni, rumore per privilegiare un flusso inarrestabile di immagini che travolge il clima felice degli anni sessanta.

Accanto a questi nomi notissimi, qui colti nella fase primordiale di massima creatività, la retrospettiva ha rivelato piccoli gioielli nascosti: Inquietudine (pedinamento zavattiniano dell'artista maudit Franco Angeli) e Zooomm Track! del fotografo Mario Carbone, Kappa e Soglie dello scenografo Nato Frascà (i protagonisti dei gesti d'arte sono del Gruppo di Via Brunetti, formato da Matteucci, Notargiacomo, De Dominicis e Grottesi), i cortometraggi beat di Romano Scavolini e quelli metropolitani del misteriosissimo fotoreporter Axel Rupp, l'inedito saggio di diploma CSC Sul davanti fioriva una magnolia… di Paolo Breccia, e i film dei “Woody Allen di Campo de' Fiori”, i gemelli Mario e Fabio Garriba, con le loro declinazioni grottesche sul tema della morte (In punto di morte, Pardo d'oro al Festival di Locarno 1971, I parenti tutti e Voce del verbo morire).

E a distanza di 40 anni, dalla sua presentazione veneziana, è tornato a ruggire Il potere di Augusto Tretti, “il matto che avrebbe dovuto salvare il cinema italiano” (Fellini) e che invece fu travolto dal fallimento della Titanus e dalla miopia dei produttori.