C'è sempre la neve, nella provincia settentrionale dell'Ontario. In otto anni, però, tutto quel bianco non è riuscito a rimuovere l'oscurità intorno ad un misterioso caso di sparizione. Cassandra, nemmeno 10 anni, viene rapita dal pick-up del padre (Ryan Reynolds) mentre lui sta comprando una torta. La mamma (Mireille Einos) non riesce a perdonarglielo. Si occupano del caso due detective (Rosario Dawson e Scott Speedman), convinti che dietro il rapimento si nasconda una pericolosa rete di pedofili. Oggi Cassandra, ormai adolescente, è tenuta prigioniera in una camera di una grande casa da Mika (Kevin Durand): la ragazza è lo specchietto per nuove, giovani "allodole" da catturare. E qualcosa riaccende le speranze per provare a ritrovarla.
Dopo il thriller giudiziario Devil's Knot, il canadese Atom Egoyan cambia traiettoria e ci guida all'interno di un torbido meccanismo dove tutto è apparentemente chiaro sin dall'inizio: la grandezza di Captives è proprio questa, l'incredibile linearità di un racconto che - attraverso continui e non dichiarati salti temporali - si concentra sul rapporto tra le tre coppie protagoniste (i genitori di Cassandra, i due detective, il carceriere e la prigioniera), in modi diversi coinvolte nella vicenda.
Come al solito, non è solo la "storia", il suo sviluppo, ad interessare Egoyan, preso più che altro a creare la giusta atmosfera intorno al percorso dei suoi personaggi. Percorso, come detto, che è circoscritto in 8 anni, dentro i quali scopriremo avvenimenti precedenti, o successivi, senza soluzione di continuità. Un "inutile artificio", potrebbe obiettare qualcuno (facendo il verso all'ultima frase che Cassandra dirà al padre prima di sparire), in realtà è lo strumento che utilizza il regista per esaltare quella sensazione di "limbo" in cui, dal momento del rapimento alla scoperta che la ragazza fosse ancora viva, ha caratterizzato l'esistenza dei vari personaggi.