“Questo è un film che vedevo molto logico. È partito e mi sono reso conto che era l’ultima occasione per fare i conti con qualcosa che per anni era stato censurato, nascosto. Dapprima abbiamo organizzato questo pranzo al circolo dell’Unione di Piacenza, di cui mio padre era stato tra i fondatori. Ma non mi interessava fare qualcosa di generico sulla mia famiglia: abbiamo capito che il soggetto al centro di ogni cosa doveva essere era un assente, mio fratello Camillo”.

Marco Bellocchio è al Festival di Cannes, dove domani presenterà al pubblico internazionale Marx può aspettare (da oggi nelle sale italiane, con 01 distribution) e dove, sabato 17 luglio, riceverà la Palma d’oro d’onore, riconoscimento finora attribuito solamente ad un altro regista italiano, Bernardo Bertolucci.

“La Palma – dice ancora Bellocchio – non la considero un premio che mi ripaga, non mi ripaga di niente. Qui ho avuto grandi soddisfazioni, nel mio discorso di sabato ricorderò senz’altro il grandissimo Michel Piccoli, che qui venne premiato con Anouk Aimée per Salto nel vuoto (1980, ndr) e quel premio fu sostenuto fortemente da un critico che noi consideravamo non dico fascista ma molto di destra, Gian Luigi Rondi. E lui si batté fortemente per questo doppio riconoscimento. È giusto ricordarlo”.

Marx può aspettare - Marco, Alberto e Camillo Bellocchio

Tornando a Marx può aspettare (che inizialmente si sarebbe dovuto intitolare L’urlo, “ma poi abbiamo capito che la leggerezza quasi ironica del titolo attuale ha un legame preciso con una battuta riportata in Gli occhi, la bocca, una sorta di chiave, leggera, ma anche storica, per poter accedere al contenuto di questo lavoro: cito una risposta di mio fratello che mi diede quando io cercavo di spronarlo per farlo entrare nella lotta rivoluzionaria. Risposta che io non capii, evidentemente. È tutta la verità del suo dolore, della sua sofferenza. Come a dire la politica viene dopo, prima devo risolvere i miei problemi. E nessuno, me compreso, l’ha aiutato”), il film è un documentario con cui il regista, attraverso la sua famiglia, fa rivivere la storia di suo fratello gemello, Camillo, morto suicida a 29 anni nel dicembre 1968: senza filtri o pudori, quasi una indagine, che ricostruisce un’epoca storica e tesse il filo rosso di tanto suo cinema.

Marx può aspettare di Marco Bellocchio

“C’erano stati avvicinamenti a questa storia nella mia carriera, in qualche modo era presente in Gli occhi, la bocca (1982), film di cui non sono mai stato contento, in primo luogo perché era ancora viva mia madre, poi per via dell’impegno politico ma soprattutto perché stavo entrando nel periodo dell’analisi fagioliana e tutte queste presenze mi imprigionavano. Stavolta invece mi sono sentito assolutamente libero”, spiega ancora Bellocchio.

Che imbastisce questa sorta di indagine personale e familiare a tu per tu con i suoi anziani fratelli (Piergiorgio, l'intellettuale, Alberto, il sindacalista, e le sorelle Maria Luisa e Letizia, quest'ultima sordomuta dalla nascita ma comunque in grado di sapersi esprimere, seppur con difficoltà): un memoriale che coinvolge anche i figli del regista, l'attore Pier Giorgio e la più giovane Elena, un botta e risposta tra i ricordi, a volte fumosi e insicuri, di parole e immagini (d'archivio, degli stessi film diretti da Bellocchio), accompagnate dallo splendido commento musicale del maestro Ezio Bosso, poi scomparso nel maggio 2020.

Piergiorgio, Letizia, Alberto, Maria Luisa e Marco Bellocchio

“Ma è un film non pesante, che sa anche essere spiritoso, penso soprattutto a mia sorella Letizia, sordomuta che in altre circostanze non aveva mai parlato, in altri film era sempre stata testimone silenziosa. Qui parla per la prima volta, con osservazioni che pur non mettendo in discussione la propria fede sono di un’arguzia assoluta, come quando pensando all’aldilà, desiderosa di rincontrare i genitori o i fratelli che non ci sono più si domanda ‘Siamo miliardi di persone, come faremo ad incontrarci in paradiso?’”.

La fede, già. Argomento da sempre centrale nella filmografia dell’ateo Bellocchio, che in Marx può aspettare torna in maniera preponderante, ad iniziare dalla formazione rigidamente cattolica di una famiglia governata da una mamma che parlava “delle fiamme dell’inferno, era una donna con un’idea molto precisa nella classificazione delle pene, adesso penso non ci creda più nessuno a certe cose”, e che trova nell’incontro con il gesuita Virgilio Fantuzzi (poi scomparso nel settembre del 2019) uno dei momenti chiave dell’intera narrazione: “Mi onora il fatto di poter dire di essere stato suo amico, la sua perdita è stata un grande dolore per me. Poi, certo, i preti tirano sempre l’acqua al loro mulino – dice con un sorriso Bellocchio – ed è chiaro, lo dico con immenso amore, che in me ha sempre visto un possibile convertito o convertibile”, spiega il regista a proposito di quel dialogo, con Fantuzzi che considera il suo “il cinema di un penitente. E vedendo i tuoi film mi sembrava di essere al di qua della grata del confessionale”.

Marx può aspettare - Camillo e Marco Bellocchio
Marx può aspettare - Camillo e Marco Bellocchio
Marx può aspettare - Camillo e Marco Bellocchio
Marx può aspettare - Camillo e Marco Bellocchio

È un film, questo, “che in un certo senso mi libera, ma non per questo mi sento assolto. Non parlerei di crimini, o delitti, è qualcosa di molto comune il fatto che di fronte a certe tragedie non si riesca a cogliere nel profondo: noi non avevamo intuito la tragedia che stava sotto la vicenda ‘normale’ di nostro fratello”, spiega ancora Bellocchio, che oltre ai fratelli incontra anche Giovanna, la sorella di Angela, ormai morta, all’epoca fidanzata di Camillo: “Con molta eleganza e gentilezza accusa la nostra famiglia di insensibilità rispetto a quanto avvenuto all’epoca. Con un sorriso di pacata polemica, questa donna è un elemento di contraddizione, di dialettica, molto importante all’interno del film”.

Come assume particolare rilevanza la presenza dei due figli del regista, Pier Giorgio e la più giovane Elena: “I figli mi giudicano in maniera differente. La storia di Pier Giorgio è diversa da quella di Elena, che è ancora più spietata. Questo aspetto è tanto casuale quanto interessante, perché ci spostiamo nel presente e poi andiamo nel passato remoto. In un certo senso la struttura che viene data dal montaggio (al solito, curato da Francesca Calvelli, compagna del regista e mamma di Elena, ndr) è stata decisiva”.

Infine, inevitabile, Marx può aspettare (prodotto da Kavac Film, IBC Movies, Tenderstories con Rai Cinema, in collaborazione con Fondazione Cineteca Bologna) è un film incentrato su un’assenza sì, quella di Camillo, ma altrettanto sulla “non” presenza di chi avrebbe potuto forse fare qualcosa in più, di diverso, soprattutto in seguito ad una lettera che, a quanto pare, non ebbe risposta.

“Quello è un punto drammaturgicamente fondamentale, mio fratello Alberto mi parla di questa lettera. Che io avevo trascurato, non posso difendermi dietro al fatto che anch’io avevo i miei problemi da risolvere. Il tema fondamentale è che non ho sentito l’altro, non ho visto l’altro. Di fatto è così. E il film racconta questo, ma senza la pesantezza di un tribunale. Cosa c’è dietro l’assenza, il silenzio?”, dice senza alcuna ritrosia il regista, chiamato anche a ragionare sul suo rapporto con la morte.

Marx può aspettare
Marx può aspettare
Marx può aspettare
Marx può aspettare

“Mi sembra di trovarmi in una situazione bergmaniana”, risponde dapprima ridendo, poi aggiunge: “Cerco di difendermi, diciamo. Tanti amici, molti coetanei non ci sono più. Io continuo a lavorare ma questo non è che modifica il mio rapporto con la fine. Non credo nell’eternità, e quindi il rapporto con la morte varia perché è diverso se sei malandato, se la senti incombente, o se sei in forze e hai ancora voglia di fare. C’è sempre una sottile angoscia, è ovvio, ma varia a seconda di quello che fai. Adesso dobbiamo portare a termine la serie (Esterno notte, ndr), poi faremo un film (sul sequestro Mortara, ndr). Se sei dentro la vita e il tuo lavoro ti dimentichi per fortuna del fatto che esista questa possibilità. Bisogna riconoscere i propri limiti, certo, ma entro quei limiti tentare sempre di fare il massimo”.