Vacanze in Val di Trebbia (1980), il film che inaugura la retrospettiva di Pordenone Docs Fest (da oggi fino al 14 aprile) dedicata all’attività di documentarista di Marco Bellocchio (presidente di giuria di questa edizione), è all’apparenza un racconto estivo. Il regista, in compagnia della prima moglie Gisella Burinato, del figlio allora piccolo Pier Giorgio, del cane e degli amici, si concede una vacanza al fiume nell’amata Bobbio. I giorni passano nell’attesa della fine. Momenti di svago e di euforia si alternano agli istanti di noia, l’intimità solletica tenerezze e conflitti. Che non mancano mai, nemmeno in quella situazione.

Al naturalismo casuale delle riprese, dentro la cornice di un assolato e malinconico home movie, Bellocchio oppone sempre il cinema, ovvero un’intenzione di senso che si rivela nella tessitura di immagini vere e simulate con cui ripensa il documentario. Bellocchio è autore e personaggio di un film che non è solo un pezzettino della sua vita, ma la sua rifrazione ermeneutica. Ritroveremo questo stesso procedimento d’interpolazione, così come Bobbio e la famiglia, anche nell’ultimo documentario della sua filmografia e di questa retrospettiva, ovvero Marx può aspettare (2021). Qui addirittura i vasi comunicanti tra realtà e finzione riguardano lo stesso cinema di Bellocchio, il quale nel fare i conti con il suicidio del fratello gemello Camillo, richiama, come echi di un trauma rivestito d’immagini, alcuni dei suoi film, da Salto nel vuoto a Fai bei sogni.

Ma questa doppia natura del suo cinema documentario la si avverte anche nel modo in cui mette in scena il reale, come se la vita finisse per diventare il setting della ripresa. Così, quando su Ponte Gobbo – altro luogo-cardine della sua filmografia – il regista incrocia un giovane uomo che corre, somigliante a quel fratello-gemello che è anche il suo doppio, “come uno specchio della vita negata”, come ha scritto bene Enrico Magrelli, si attivano tanti e tali cortocircuiti che è impossibile rimanere nel perimetro del film domestico. Siamo già oltre, tra le brume e le epifanie di una visione personale, d’autore.

E del resto non è forse questo suo camminare un incedere che ricorda quello di Aldo Moro in Buongiorno, notte ? D’altra parte, nei film di finzione come quello appena citato Bellocchio sembra divertirsi a far entrare il materiale d’archivio storico, la tv di allora, un pezzo di realtà. La stessa cosa accadeva in Vincere e in Bella addormentata . Ciò che chiamiamo reale è sempre l’esito di una mediazione di sguardo. E ciò che chiamiamo cinema il fissarsi nell’immaginario di un reale “ri-visionato”. Non caso i filmati che Bellocchio gira in occasione dei laboratori di Fare Cinema, video che puntualmente finiscono in lavori più grandi (come in Sorelle mai, ad esempio), li chiama corti di finzione.

In questo continuo farsi e disfarsi della realtà nella fucina delle immagini, Bellocchio trova sempre una cifra personale. Il suo cinema del reale non è nient’altro che cinema del mentale e delle emozioni. Solo in un registro diverso, più apertamente autobiografico. E allora sono viceversa i documentari a tesi quelli che gli riescono meno, come i due documentari militanti degli inizi (entrambi del 1969) - Il popolo calabrese ha rialzato la testa/Paola e Viva il 1° maggio rosso e proletario – che sono come ammetterà lo stesso Bellocchio “istantanee filtrate dalla propaganda”. Erano i tempi dell’affiliazione (durata poco) all’Unione dei Comunisti Italiani. Comunque un documento interessante, se non dell’Italia politicamente ribollente di allora, di sicuro de condizionamenti ideologici che anche un giovane Bellocchio, reduce del successo de I pugni in tasca, aveva dovuto subire.

In questa bella retrospettiva curata da Riccardo Costantini con Denis Brotto per Cinemazero, ci sono poi due snodi significativi: Matti da slegare (1976) e La macchina cinema (1978). Il primo, realizzato tra anni prima dell’entrata in vigore della Legge Basaglia, è sulla chiusura dei manicomi. Il secondo un viaggio tra gli sconfitti e i dimenticati di quella fiera delle illusioni che è il cinema. Entrambi raccontano di universi chiusi, di prigioni mentali e spirituali, in un dialogo suggestivo con l’altra bella retrospettiva di Pordenone Docs Fest, Franco Basaglia ha 100 anni: un omaggio, a cento anni dalla nascita, a una fra le figure più internazionali e innovative che la cultura e la società italiane abbiano saputo esprimere dagli anni Sessanta a oggi. Un invito a rompere gli schemi, a pensare diversamente, a cambiare il mondo con le uniche armi che possono realmente trasformarlo in un posto migliore: la libertà del pensiero e la forza dell’immaginazione.