LE MILLE LUCI DI NEW YORK

BRIGHT LIGHTS, BIG CITY

USA 1988
Un giovane infelice, abbandonato dalla moglie e deluso dalla vita, Jamie Conway, si rifugia nella cocaina e in un giro di amicizie sbagliate. Rendendo sempre di meno nel sul lavoro come correttore di bozze in un giornale, Jamie viene licenziato. Il giovane trova allora conforto in Vicky, una ragazza diversa da quelle frequentate negli ultimi tempi.
SCHEDA FILM

Regia: James Bridges

Attori: Michael J. Fox - Jamie Conway, Kiefer Sutherland - Tad, Phoebe Cates - Amanda, Swoosie Kurtz - Megan, Frances Sternhagen - Clara, Dianne Wiest - Madre, John Houseman - Mr. Vogel, Jason Robards - Rich Vanier, Jessica Lundy - Theresa, Tracy Pollan - Vicky, Kelly Lynch - Elaine

Soggetto: Jay McInerney

Sceneggiatura: James Bridges, Tom Cole

Fotografia: Gordon Willis

Musiche: Prince , Donald Fagen

Montaggio: John Bloom, George Berndt

Scenografia: Santo Loquasto

Costumi: Bernie Pollack

Effetti: James Matheny

Durata: 104

Colore: C

Genere: DRAMMATICO

Specifiche tecniche: NORMALE

Tratto da: TRATTO DAL ROMANZO OMONIMO DI JAY MCINERNEY

Produzione: MARK ROSENBERG SIDNEY POLLACK

Distribuzione: UIP (1988) - WARNER HOME VIDEO (GLI SCUDI)

NOTE
REVISIONE MINISTERO NOVEMBRE 1997
CRITICA
"Tratto da un best-seller di Jay McInerney, e da lui stesso sceneggiato, 'Le mille luci di New York', ('Bright Lights, Big City') è un film moraleggiante che col pretesto della critica di costume e del reportage sui locali mondani lamenta i guasti provocati dalla droga nelle nuove generazioni, e le richiama al rispetto dei Valori Supremi. La sua gestazione è stata molto laboriosa, giacché ben tre registi e cinque sceneggiatori vi hanno lavorato durante tre anni. Forse per questo l'esito è onorevole ma non entusiasmante. (...) Michael J. Fox riesce comunque con un piccolo alloro a compenso del suo giovanile prodigarsi e d'alta qualità si conferma Jason Robards nella parte d'un vecchio scrittore fallito, cinicamente persuaso che al posto della poesia c'è oggi il denaro. Il cattivo compagno è Kiefer Sutherland, somigliantissimo al padre, l'indossatrice di vezzosi modelli è Phoebe Cates, e la madre morente è Dianne Wiest. Dalle scenografie di Santo Loquasto e dalla fotografia di Gordon Willis il film trae occasioni di elegante spettacolo." (Giovanni Grazzini, 'Il Corriere della Sera', 18 Luglio 1988)

"Il romanzo raccontava questa storia ricorrendo al vezzo piuttosto curioso di far adoperare al protagonista la seconda persona singolare ('fai', 'vai', ecc.), il film sceneggiato dallo stesso autore letterario, per fortuna vi rinuncia, ma non rinuncia a tutta una serie di espedienti libreschi che appesantiscono il racconto e non consentono ai personaggi di muoversi sempre con i ritmi del cinema. Vi sopperisce un po' James Bridges, un regista con tutte le carte in regola, forse insistendo un po' troppo sugli inferni dell'alcol e della droga con gusti quasi solo effettistici, riuscendo però a darci di New York e delle sue 'mille luci' una rappresentazione più d'una volta ispirata e felice: sia quando tende al realismo sia, soprattutto, quando propone l'incubo, con il sussidio di scenografie particolarmente suggestive (di Santo Loquasto) e di una fotografia (di Gordon Willis) che giunge spesso a ricreare e a reinterpretare anche il quotidiano più spicciolo; con squarci fra l'allucinazione e il lirismo." (Gian Luigi Rondi, 'Il Tempo', 13 Luglio 1988)

"Adesso la sceneggiatura dell'autore dà i colpi definitivi a una fragile costruzione, certe espressioni si sopportano a fatica sulla pagina, figurarsi trapiantate di peso sullo schermo. Con l'aggiunta, poi, che il regista James Bridges ('Sindrome cinese', 'Urban Cowboy'), forse per prudenza verso l'originale letterario, ha accentuato i vezzi libreschi (suddivisione in giornate-capitoli, voce off) e curiosamente una vaga inerzia dietro il nottambulismo febbrile di Jamie. Apprendiamo che il protagonista è parossisticamente turbato perché lo ha abbandonato la bellissima moglie, una top model andata per i fatti suoi e soprattutto siamo informati che Jamie patisce in ritardo il dolore, la privazione per la morte della madre, avvenuta un anno prima e spesso rievocata nei pensieri. (...) Riusciva bene (lo ricordate?) nella caricatura dello yuppie nel 'Segreto del mio successo', perché c'era in quel film allegria mista a una effervescente volgarità e dell'una o dell'altra si capisce che lui ha bisogno." (Stefano Reggiani, 'La Stampa', 2 Luglio 1988)