In nome di mia figlia. Un titolo che emana vendetta e giustizia a tutti i costi. Il quarto lungometraggio firmato Vincent Garenq infatti ripercorre la tragica vicenda, realmente accaduta, di un padre pronto a sfidare anche la legge pur di vendicare la morte della figlia. La storia è quella di André Bamberski, un contabile che nel 1982 perde tragicamente la figlia quattordicenne in circostanze misteriose mentre questa si trova in vacanza in Germania assieme alla madre e al patrigno, il dott. Dieter Krombach. Un’indagine personale, mossa da troppi elementi inspiegabili, conduce Bamberski ad accusare di omicidio Krombach. Ma avviare un procedimento giudiziario per ottenere giustizia non sarà facile per il padre della povera Kalinka.

Un agghiacciante fatto di cronaca, l’ennesimo, rivisto in chiave cinematografica. Non è certamente questo l’elemento che rende il nuovo film del bravo Vincent Garenq un valido lavoro. Già altri casi, balzati sulle prime pagine di tutto il mondo, sono giunti al grande pubblico via celluloide. Esempi recentissimi sono il drammatico Devil’s Knot di Atom Egoyan, che riprende il più grave errore giudiziario della storia statunitense, oppure la pellicola che segna il ritorno in carreggiata di Ruggero Deodato, non ancora uscito, Ballad in Blood, ispirato al terribile omicidio di Meredith Kercher.

Il nuovo film del regista e sceneggiatore francese mira a riportare alla luce sì un tragico fatto di nera, avvolto da numerosi misteri, ma soprattutto ad evidenziare il coinvolgimento e la feroce lotta giudiziaria, molto spesso complicata da oltraggi e abusi del codice penale, tra due stati: Francia e Germania. La lotta portata avanti da un inarrestabile Bamberski (Daniel Auteuil) viaggia su due binari paralleli: da un lato, la lotta personale tra due uomini, Krombach e Bamberski, mossa dalla sfera personale e dai desideri più materiali dettati dall’impulso; dall’altro, una guerra combattuta dietro le scrivanie e nelle aule di tribunale di Germania e Francia per osteggiare un’inspiegabile protezione offerta dalla legge al medico assassino. Un lavoro valido e scritto in maniera dettagliata, capace di non cedere mai il passo alla mera giurisprudenza rendendo i personaggi profondi e interessanti e consentendo allo spettatore di immedesimarsi nella figura di un padre pronto a tutto, anche a rivolgersi a dei sequestratori, pur di non far cadere nell’oblio l’ingiusta morte della figlia. Tema fulcro del film, quindi, è sì la negligenza della giustizia, ma soprattutto la tenacia di un uomo tanto legato alla sua famiglia, sgretolata da un rapporto andato in frantumi per intervento di Krombach, da lottare accanitamente giorno e notte, per oltre trent’anni, pur di onorare la povera Kalinka. Una vita trascorsa nel dolore e contrassegnata dalla rinuncia ad altri affetti, ma avvalorata da un forte senso di giustizia valso da esempio per tanti. Un plauso al prologo, che incuriosisce e suscita domande sino al sopraggiungere del finale, che rivelerà allo spettatore l’epilogo della triste vicenda.