"Non c'è nulla di particolare dietro un assassino, solo una persona che uccide". Parola (e non solo) di Cristi Puiu, che torna con Aurora in Un Certain Regard a Cannes cinque anni dopo il premio ottenuto per La morte del signor Lazarescu, stavolta anche come attore protagonista: è Viorel, uomo silenzioso e ingabbiato in chissà quali pensieri, risucchiato dalle tenebre di Bucarest e in continuo movimento. Da un'abitazione all'altra, nascosto dietro alcuni camion per osservare le abitudini di una famiglia, girovagando nella notte in auto, passando per un appartamento che a breve sarà ristrutturato per poi ritornare a casa della madre e appoggiare le proprie cose. Sempre con sé, una doppietta calibro 12: suicidio o omicidio? Forse l'uomo non ha ancora deciso, ma quando lo farà nessuno potrà fermarlo. E il suo risentimento verso i bersagli prestabiliti esploderà senza rimorso.

Secondo tassello delle "Sei storie dalla periferia di Bucarest" (progetto che il regista rumeno ha ideato pensando naturalmente a Rohmer), Aurora potrebbe diventare tra qualche anno film-manifesto di un nuovo corso cinematografico, che trova nella contrapposizione tra adesione al reale ed esasperazione del nulla la chiave su cui fondare il racconto dell'ambiguità umana svincolandosi da qualsiasi demarcazione Bene vs. Male, definitivamente sepolti da Puiu. Che in qualche modo, già in fase di scrittura, scommette su un azzardo estremo: 181' per inquadrare il disagio esistenziale di un uomo alla deriva, mostrarne minuziosamente e ripetitivamente anche i gesti più insignificanti (lo spostare gli oggetti in maniera ossessiva, il muoversi senza apparente motivo da una stanza all'altra, lasciandolo spesso fuori campo, o seminascosto dietro porte socchiuse), per arrivare alla dissacrazione del "mito cinematografico" dell'omicidio, atto non più drammatico e/o spettacolare ma triviale e senza pathos, alla portata di chiunque. Restare impuniti o trovare, come nel caso di Viorel, poliziotti che ascoltano con noncurante tranquillità tutto quello che è successo, alla fine, farà davvero poca differenza.

Curiosità: il titolo del film, prodotto da Bobby Paunescu (regista di Francesca) è volutamente omonimo al capolavoro di Murnau, ma è stato scelto da Puiu quale contraltare di quello che lui considera un "film-fiaba", opposto alla sua visione della vita e, di conseguenza, del cinema, "strumento di investigazione del reale".