Happy Family

4/5
Divertissement metacinematografico per Salvatores: minimalista e sorridente, con un occhio ai Tenenbaum

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ITALIA 2010
In una Milano estiva, un banale incidente stradale catapulta il protagonista-narratore Ezio al centro del microcosmo di due famiglie, i cui destini si incrociano a causa dei rispettivi figli sedicenni che hanno caparbiamente deciso di sposarsi...
SCHEDA FILM

Regia: Gabriele Salvatores

Attori: Fabio De Luigi - Ezio, Diego Abatantuono - Papà, Fabrizio Bentivoglio - Vincenzo, Margherita Buy - Anna, Carla Signoris - Mamma, Valeria Bilello - Caterina, Corinna Agustoni - Nonna Anna, Gianmaria Biancuzzi - Filippo, Alice Croci - Marta, Sandra Milo

Soggetto: Alessandro Genovesi - testo teatrale

Sceneggiatura: Alessandro Genovesi, Gabriele Salvatores

Fotografia: Italo Petriccione

Montaggio: Massimo Fiocchi

Scenografia: Rita Rabassini

Costumi: Patrizia Chericoni

Suono: Mauro Lazzaro - presa diretta

Durata: 90

Colore: C

Genere: COMMEDIA

Tratto da: omonima commedia di Alessandro Genovesi prodotta dal Teatro dell'Elfo di Milano

Produzione: MAURIZIO TOTTI PER COLORADO FILM, RAI CINEMA

Distribuzione: 01 DISTRIBUTION - DVD E BLU-RAY: 01 DISTRIBUTION (2010)

Data uscita: 2010-03-26

TRAILER
NOTE
- NASTRO D'ARGENTO 2010 PER IL MIGLIOR MONTAGGIO (MASSIMO FIOCCHI E' STATO PREMIATO ANCHE PER "LO SPAZIO BIANCO" DI CRISTINA COMENCINI). IL FILM ERA CANDIDATO COME MIGLIOR COMMEDIA E PER: MIGLIOR SCENEGGIATURA, FOTOGRAFIA E SCENOGRAFIA.
CRITICA
"Salta agli occhi la ricercatezza dell'impianto visivo: ogni situazione un colore. E' un film coloratissimo e questa sua caratterizzazione cromatica risulta determinante nel formarne il tono, lo spirito. Che sa essere lieto e malinconico, leggero e denso, brillante ma anche portatore di un pensiero. Questo: i personaggi in campo testimoniano la paura che ci assedia tutti - timore di tutto, ma soprattutto di provare a essere felici - tuttavia il film dice che abbiamo il diritto e anche il dovere di provarci. (...) 'Happy Family' è la nuova prova dello speciale talento posseduto dal regista nel farsi punto di riferimento e centro propulsivo di una molteplicità di energie. Lo ha dimostrato innumerevoli volte in teatro prima e cinema poi, nel chiamare a sé interpreti e collaboratori e formare con loro un gruppo affiatato - una famiglia - nel promuovere talenti come regista, come produttore-editore, come sollecitatore attento e altruista di risorse artistiche. (...) Famosa è la dedica che con i primi film - soprattutto 'Mediterraneo' - Salvatores rivolgeva a tutti coloro che fuggono. Coloro che, insoddisfatti del presente e inetti a cambiarlo, si rifugiano nella nostalgia e nell'idealizzare l'amicizia giovanile. Oggi quello stesso spirito, maturato dal tempo trascorso, dall'età - i quasi sessant'anni del regista - e dalle consapevolezze raggiunte, si rivolge a tutti coloro che hanno paura. Ma non vuol dire che 'Happy Family' sia un film pessimista. La parabola di Ezio sembra suggerire che le aspettative si possono soltanto riporre nel rifugio della finzione - citando il detto di Groucho Marx: 'meglio vedere un film che vivere, nella vita non c'è una trama'; con la carezzevole, evocativa compagnia di un tappeto sonoro tutto Simon e Garfunkel - ma non è proprio così. Il pacifico gentiluomo Salvatores è un combattente, ha fiducia nel sorriso e nella disponibilità ma con l'occhio critico ed esigente di chi non rinuncia a migliorare le cose nella vita vera. (Paolo D'Agostini, 'La Repubblica', 24 marzo 2010)

"Un'altra famiglia nel cinema italiano. Ma questa è quella consolidata di Salvatores che dopo Los Angeles presenta anche in Italia il suo nuovo 'Happy Family' (...). I precedenti 'Come Dio comanda', 'Quo Vadis baby', 'Io non ho paura' abbandonavano le spiagge mediterranee o gli scenari esotici dei suoi primi film per raccontare un crescente stato di tensione, problematiche spirituali e il fatto che ora ci offra una commedia non è per niente rassicurante. Si fa forte della compagnia di attori e delle risate che provocano, lo stato di allerta invece si coglie da struttura e sottotesto." (Silvana Silvestri, 'Il Manifesto', 18 marzo 2010)

"Non è certo la prima volta che il regista porta in scena una piéce né che intreccia la realtà con immaginazione (in 'Nirvana' si interagiva addirittura con un videogioco) ma quello che in altri film era la base per una 'riscrittura' cinematografica qui rischia di rivelarsi li punto di approdo per una (troppo) semplicistica illustrazione dei possibili scambi tra invenzione e narrazione. Perché Ezio si mette sullo stesso piano dei suoi personaggi, diventando uno di loro? Si potrebbe rispondere (alla fine del film) perché ha paura di innamorarsi nella vita reale e allora vuole esercitarsi prima nella finzione. Ma anche in questo caso il meccanismo narrativo rischia di sembrare troppo artificioso e insieme troppo superficiale e quello che all'inizio poteva sembrare una traccia per capire il senso del film alla fine rischia di apparire solo un giochetto piuttosto scontato per impressionare lo spettatore con le trovate più risapute della 'mise-en-abîme' e dello scambio di prospettiva tra oggettività e soggettività. Un po' come sembra suggerire la presentazione 'in soggettiva' dei vari personaggi, con tutto quello che questa scelta dovrebbe comportare al livello di linguaggio (rottura della linearità narrativa, coinvolgimento diretto dello spettatore, messa in discussione del 'patto di credibilità' con lo spettatore) e che invece poi il film finisce per lasciar cadere. (...) Certo, Salvatores è un ottimo direttore di attori e il cast regala momenti di divertimento e di ilarità (con Abatantuono e la Signoris su tutti), il direttore della fotografia Italo Petriccione riesce a far sembrare inedite certe atmosfere milanesi ma alla fine il sentimento dominante è quello che ti prende davanti all'arredamento troppo alla moda del loft dove vive Ezio: sembra di essere capitato all'interno di un servizio per riviste di arredamento, dove c'è tutto 'ce qu'iI faut' ma manca una cosa fondamentale: la vita!" (Paolo Mereghetti, 'Il Corriere della Sera', 25 marzo 2010)

"C'è una gran voglia di famiglie sugli italici schermi. Si tratta di famiglie irregolari, allargate, miste, incasinate, devianti (rispetto a quale retta via, poi?). Ma sono pur sempre famiglie con i riti, i tic, i tabù , le cattiverie e l'amore di monadi tribali assediate dal mondo, che, 'là fuori', evidentemente incute soggezione o paura. (...) Adesso tocca a Gabriele Salvatores, il quale dedica 'Happy family' a chi ha paura di qualsiasi cosa e perciò rischia la paralisi. (...) Insomma, dopo il cinema ribelle delle origini, bambini e adolescenti ricorrono nelle trame di Salvatores, che non ha figli e guarda con un certo disincanto alle dinamiche familiari. Soprattutto, egli sperimenta stili, prova soluzioni ardite, si misura con narrazioni fra cinema e meta-cinema. Non sempre le ciambelle gli riescono col buco. Tuttavia è proprio questa possibile 'imperfezione' a rendere un film di Gabriele puntualmente interessante, nonché, diremmo, all'altezza della sfida cui ti chiama l'aver vinto un Oscar. Rispetto a tanto cinema dei 'telefonini bianchi', alle troppe commediole scontate, ai prevedibili sequel, agli stereotipi regionalistici tornati in auge, un film di Salvatores rappresenta uno scarto, una deviazione, un colpo d'ala. Non fa eccezione 'Happy Family'. (...) Un'autenticità che è merito anche del cast in cui spiccano due 'storici' sodali di Salvatores, diversamente atarassici come due facce di una medaglia: Bentivoglio avvocato di grido e nirvanico rispetto all'incombenza della sua morte, e Abatantuono perennemente 'sballato' ma ancora bramoso di vita e di fughe a vela. Molto brave anche le mogli-madri, Margherita Buy, più sofferta che in 'Genitori e figli'. e Carla Signoris, con un 'virus' surreale contratto in 'Tutti pazzi per amore'. Dai figli (uno gay, tanto per cambiare), poche sorprese, una delle quali riguarda Ezio, prima che letteralmente si chiuda il sipario sulla 'Happy Family'. Andate a vederlo, poi ne riparliamo. (Oscar Iarussi, 'La Gazzetta del Mezzogiorno', 26 marzo 2010)

"Le tv finanziano il cinema, dicono soddisfatti gli ottimisti. Invece i realisti osservano che i film pensati (anche) per le tv hanno le stigmate dell'ibrido, per bravo che sia il regista. Di Gabriele Salvatores, 'Happy Family' - titolo ironico e allusivo, che per gli italofoni sarebbe 'Famiglia felice' - ha poi il difetto letale: rammenta ogni due per tre allo spettatore che sta assistendo a un film, col personaggio di Fabio De Luigi, uno sceneggiatore, che guarda nella macchina da presa e si presenta, presentando per giunta ulteriori personaggi, tutte sue emanazioni, spiegandoci che sono frutto della sua fantasia. Ora il segreto del cinema è far dimenticare che tutto è una finzione, che davanti a noi si recita, insomma. Chi andrà lo stesso a vedere "Happy Family', noterà poi una serie di luoghi comuni e di figure logore, tipiche da serie tv, un alveo dove tutto deve essere consueto e rassicurante, anche la fine incombente del ricco (Fabrizio Bentivoglio). Sarà la sua una tipica 'morte teatrale', simile a quelle proposte al cinema dalle 'Invasioni barbariche' e da 'La prima cosa bella'. ('Il Giornale', 26 marzo 2010)

'C'è stato un momento, recente, della carriera di Gabriele Salvatores che, complice il sopravvalutato Ammaniti, credevamo stesse studiando da Paul Thomas Anderson. Sbagliavamo, 'Happy Family' ci dice che è Wes Anderson il suo ultimo punto di riferimento. Fermo restando che il cineasta nel post Oscar ha cercato e trovato diverse strade e generi rispetto alla neocommedia all'italiana e sugli italiani (all'estero) del pre Academy, e che noi l'abbiamo preferito in quel 'Nirvana' che fu troppo rivoluzionario per essere capito in tutta la sua portata - cinematografica e industriale - o nel complesso 'Denti'. Con 'Happy Family' ci ritroviamo in zona commedia, ma è di tutt'altra pasta. Salvatores guarda a se stesso, nel senso letterale della parola e col nullafacente protagonista 38enne del suo ultimo film, autodefinitosi autore, vuole raccontare la creazione artistica, la sua, utilizzando Fabio De Luigi come alter ego. Uno che ha lo smarrimento di Buster Keaton e la faccia di Peter Sellers, ma che dovrebbe avere un cinema che potesse sfruttarli. Salvatores ci prova e in parte ci riesce, utilizzando una sceneggiatura che nasce da un libro di Alessandro Genovesi rifiutato da parecchie case editrici (...) e divenuto pièce teatrale di successo proprio al Teatro dell'Elfo, dove già aveva recitato l'autore. (...) Impossibile non farsi trasportare: a Salvatores si perdona persino la citazione sfacciata di 'Marrakech Express' ('ecco dove ci siamo visti, in Marocco!'). Se una definizione disegna bene l'ultimo film di Salvatores, è proprio quella di: sfacciato. Come la voce fuori campo invadente, come gli sguardi in macchina, come gli infermieri che davanti al Niguarda fanno i Beatles, come la fotografia ipercolorata e sgargiante di Italo Petriccione. Come quei 20 minuti iniziali che ti sfidano ad alzarti e andartene. Parte malissimo 'Happy Family' e finisce 'che è impossibile non volergli bene'." (Boris Sollazzo, 'Liberazione', 26 marzo 2010)

"Otto personaggi in cerca d'autore. Una città grigia come Milano ridipinta in colori squillanti da musical anni '50 o da sogno a occhi aperti. Una sceneggiatura che si anima sotto i nostri occhi come un teatrino, con tanto di palcoscenico e sipario, confondendosi con l'immaginazione del suo autore Fabio De Luigi. Che a sua volta entra pirandellianamente nella sua storia, mescolandosi ai personaggi, salvo trovarseli davanti che protestano quando si blocca o li porta in direzioni sgradite. Mentre ogni scena, malgrado i colori, le gag, l'allegria così ostentata da indurre in sospetto, ribadisce i sentimenti di fondo. Malinconia, sconforto, incertezza. Paura. Non una paura in particolare, ma il sentimento proteiforme e appiccicoso di questi anni di plastica. La cosa più interessante di 'Happy Family' è il suo procedere per contrasto. Gag e paure. Battute e batoste. Colori e cupezza. Come se la complessità del mondo oggi si potesse rappresentare solo così, obliquamente. Tutti i personaggi si presentano rivolgendosi allo spettatore. Tutti vivono di rimando, per paura di qualcosa. Di annoiarsi, di essere felici, di puzzare, di crescere, di morire, di svegliarsi disamorati o omosessuali... (...) Che Salvatores porta sullo schermo con indubitabile cura formale (chi è cresciuto ascoltando Simon & Garfunkel cadrà colpito al cuore dalla colonna sonora) e un amore per i personaggi e i loro interpreti che non aggiunge molto all'idea iniziale. Non basta citare le tele di Edward Hopper e Balthus, o i gruppi di famiglia di Wes Anderson (I Tenenbaum), per sviluppare fino in fondo l'ambivalenza e le inquietudini iniziali. Se sogno doveva essere, ci voleva uno scatto di fantasia in più . (...) Però "Happy Family' tira il sasso e nasconde la mano, fermandosi alla superficie di un dispositivo che poteva andare molto più lontano. (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 26 marzo 2010)

"'Sapessi come è strano/sentirsi innamorati/a Milano...' Il coraggio non manca a Gabriele Salvatores: non tanto perché pennella di romanticismo certi slanci del cuore di solito snobbati dal cinema firmato o perché cattura preziose atmosfere in filiigrana all'identikit di una metropoli ansiogena e affannata; quanto perché abbandona le comode autostrade della produzione nazionale e imbocca con viva curiosità e pari convinzione i sentieri capricciosi di un gusto indipendente e internazionale. 'Happy Family' è una commedia nutrita di simpatica follia, una ballata che gira volutamente su se stessa, un poemetto più umoralmente perplesso che sociologicamente corretto sui meccanismi che tengono in piedi le cosiddette famiglie allargate; a ben vedere, in fondo, la versione all'italiana dello svariante filone d'avanguardia promosso dai Wes Anderson ('I Tenenbaum'), Michel Gondry ('Se mi lasci ti cancello', 'L'arte del sogno'), Dayton e Faris ('Little Miss Sunshine') o Marc Webb ('500 giorni insieme'). Un exploit reso cospicuo anche dal fatto che quando gli autori decidono di fare parlare in macchina i propri personaggi, facendoli rivolgere direttamente al pubblico, 'smascherando' la finzione, ne risultano quasi sempre film per noi indigeribili, pedanti e mosci. E invece - piccolo miracolo - tutto si potrà dire di 'Happy Family', tranne che si tratti di un film noioso o pretenzioso. (...) Anche la città, ovviamente, prende parte a questa corsa verso una verità che non esiste, o meglio si nasconde nei dettagli, mostrando i suoi versanti di malinconica bellezza: aiutata in questo strip-tease figurativo dalle musiche dolcemente demodé di Simon & Garfunkel e dall'uso di colori-guida (rosso, giallo, verde ecc.) di volta in volta in accordo con le diverse fasi del racconto. Gli episodi in sé non sono tutti dello stesso livello, ma ciò che conta è l'umorismo aggraziato - ci sono persino i siparietti che dividono i capitoli, come nei vecchi film di Totò - col quale Salvatores confonde le etichette dei destini individuali, suggerisce a tutti noi esorcismi non fideistici bensì omeopatici e riesce a costringere la poesia a specchiarsi nei momenti giudicati più inadatti dal copione che qualcuno ci ha assegnato." (Valerio Caprara, 'Il Mattino', 26 marzo 2010)

"Commedia umana da ridere e da piangere, divertente, intelligente, imprevista, colorata, persino ottimista: non una specialità di Gabriele Salvatores, che pure l'ha diretta benissimo, guidando gli attori in modo magistrale, traendola dal testo teatrale di Alessandro Genovesi. 'Happy Family', avvisa l'autore, non è uno slogan da biscotti inglesi per famiglia o un titolo brioso, si riferisce invece alla famiglia umana e alla sua capacità di sopravvivenza. Ma tutto il film è un rosario di inganni. Sembra realistico, invece si apre e si chiude con un sipario di velluto rosso da teatro. Sembra semplice, invece adotta l'artificio teatrale più famoso al mondo, il conflitto tra autore e personaggi, con i personaggi che esigono o protestano, con lo scrittore stufo d'averli ideati e che ha paura di diventare uno di loro, come nei 'Sei personaggi in cerca d'autore' di Pirandello. Sembra amoroso, invece racconta la paura indefinita in cui tanti sono immersi. (...) 'Happy Family' fa riflettere e dà un'impressione di leggerezza, grazia e letizia. Manda in estasi con la sua colonna sonora quasi tutta Simon & Garfunkel, col suo finale che consente ad altre storie di cominciare e andare avanti, prima del sipario." (Lietta Tornabuoni, 'La Stampa', 26 marzo 2010)

"Nessuno gridi alla novità davanti alla struttura di 'Happy Family', il nuovo film di Gabriele Salvatores tratto da una fortunata commedia teatrale di Alessandro Genovesi. (...) Sarebbe fin troppo banale dire che, dopo i due film ispirati ad altrettanti romanzi di Niccolò Ammaniti ('Io non ho paura' e 'Come Dio comanda'), Salvatores si è preso una vacanza leggera. In realtà, chi vive di teatro sa che la commedia è molto più difficile del dramma. La 'famiglia felice' del titolo nasconde ansie e dolori a profusione, e non a caso De Luigi, nel prologo, dedica il film a tutti coloro che hanno paura: 'di votare e di volare', di amare o di odiare, del prossimo o di se stessi, di tutto. Il duetto Abatantuono-Bentivoglio, che è il vero cuore del film, è una riflessione sulla morte, ed è toccante che a metterla in scena siano i vecchi amici e complici di 'Marrakech Express' e di 'Turné'. Non è forzato leggere 'Happy Family' come una riflessione agrodolce sulla famiglia - artistica e sentimentale - che Gabriele, Diego, Fabrizio e varie altre persone sono state nel corso dei decenni: una volta giravano film dedicati 'a coloro che stanno scappando', oggi hanno tutti superato i 50 e forse hanno voglia (e paura) di fermarsi. Nel tono e nelle immagini (di Italo Petriccione, bravissimo) 'Happy Family' ricorda spesso i film di Wes Anderson. Sia chiaro, è un complimento." (Alberto Crespi, 'L'unità', 26 marzo 2010)