“La vita quotidiana dell’Afghanistan è funestata dalla povertà e da restrizioni per le donne cui è stata limitata la possibilità di avere un’educazione e di svolgere funzioni pubbliche”. Questa frase a dir poco eufemistica e riduttiva nella migliore delle ipotesi che, di fatto, nega e, forse, perfino avalla involontariamente la violenza, l’oscurantismo e l’orrore della condizione delle donne e, dunque, della società nello sventurato paese asiatico è parte di una serie di video con sinuosa musica jazz di sottofondo e una tazza di caffè in mano volti a spiegarci come va il mondo (davvero) e come potete sapere qualcosa di ogni nazione sulla Terra a partire dall’Afghanistan… (lettera A).

L’elegante e avvenente autrice è una giovane autodichiarata “nerd” di politica internazionale dall’accento, dai modi e dalla spocchia colonialista tipicamente british che in altri video ci insegna anche, forse, con migliore fortuna le buone maniere a tavola. Una clip visionata da oltre 350.000 persone con commenti entusiastici dove non si tiene conto che in due minuti non si può raccontare la complessità della Storia e della politica e non si deve, laddove è necessario, tacere dinanzi all’orrore della dittatura e della sopraffazione quotidiana. Del resto, come stupirsi?

In un’era in cui i media tradizionali sono sotto costante attacco su ogni fronte e perfino quotidiani rispettati raccontano, con dovizia di dettagli da tempesta ormonale, gli inseguimenti di avvenenti influencer di star hollywoodiane, anziché scrivere una qualche considerazione sul contenuto del film in cui è presente quell’attore, questa è la nuova normalità. Hai un problema come un’invasione, un genocidio, una società tribale che bastona le donne, impedisce alle bambine di studiare e spaccia oppio in tutto il mondo? Ci pensano gli influencer che dopo avere ammazzato il giornalismo serio, oggi, si fanno pagare per riscrivere a colpi di video cretini e ammiccanti la geopolitica internazionale.

©Annie Spratt

Una mossa che avrebbe lasciato esterrefatto pure Goebbels e che oggi, invece, è lì a portata di mano per autocrati, assassini, dittatori, generali senza scrupoli: negli ultimi dieci anni, la comunicazione politica e militare ha, di fatto, subito una trasformazione radicale. Se un tempo la propaganda passava principalmente attraverso i media tradizionali, oggi si sfruttano figure carismatiche sui social media per veicolare messaggi mirati. Gli influencer – con milioni di follower e un linguaggio diretto, emotivo e fintamente “autentico” – sono diventati strumenti potenti per plasmare la percezione pubblica, soprattutto tra i più giovani. Israele e i talebani, pur operando in contesti e con obiettivi molto diversi, hanno entrambi utilizzato questa strategia per “rinnegare” o reinterpretare narrazioni storiche e fatti documentati, cercando di sostituirli con versioni più favorevoli ai propri interessi.

Verosimilmente il video citato all’inizio di questo articolo non è parte dell’aberrante operazione di maquillage istituzionale di Kabul, ma poco importa: l’esito è, in fin dei conti, molto simile a quello di chi suggerisce più o meno esplicitamente che l’Afghanistan sia un bel posto dove andare a fare una vacanza e che i talebani – in fondo – sono solo ragazzi “che hanno sbagliato”, ma che oggi stanno ritrovando la retta via. Dopo la riconquista dell’Afghanistan nell’agosto 2021, questi ultimi hanno ben compreso l’importanza di controllare o comunque provare ad influenzare la narrazione internazionale.

Oltre ai portavoce ufficiali, hanno iniziato a utilizzare figure popolari sui social – spesso giovani afghani o simpatizzanti all’estero – per diffondere un’immagine “normalizzata” del loro governo. Racconti di vita quotidiana: influencer che mostrano mercati pieni, scuole “aperte” (solo per maschi), e città, finalmente, “sicure” sotto il nuovo regime dove i bambini danzano felici in cerchio a piedi nudi. “Reportage” (Oriana Fallaci perdonaci…) dove viene minimizzata o negata ogni forma di restrizione sui diritti delle donne, della repressione delle minoranze etniche e religiose, e delle esecuzioni sommarie documentate da ONG.

©Alexander Andrews

Tutto questo con il linguaggio comune e “fresco” dei TikToker che scherzano pure sulle esecuzioni e fanno parodie dei rapimenti pur di celebrare il nuovo regime che si presenta come nazionalista” e “anticorruzione”, cancellando la memoria delle violenze degli anni ’90 e dei primi anni 2000. Ovviamente entrando nel campo della comunicazione internazionale così come i simpatizzanti di estrema destra dell’AFD in Germania veicolano messaggi agghiaccianti con belle ragazze e bei ragazzi che ballano al ritmo della techno, qui ci troviamo a vedere utilizzati influencer che non vivono in Afghanistan, ma operano da Paesi occidentali, parlando in inglese o in lingue europee per raggiungere un pubblico internazionale evitando la censura, usando un linguaggio accessibile e con grande autenticità e freschezza negare gli abusi, le violenze e i soprusi soprattutto nei confronti delle donne, delle ragazze, delle studentesse rispedite a calci (ahimé non figurati…) indietro nel medioevo 2.0.

In luoghi dove giornalisti accreditati non possono entrare o dove vengono seriamente minacciati (vedi il caso Cecilia Sala), ecco che si pagano un po’ di influencer per dire che a Gaza si sta benissimo e non ci sono problemi di carestia, che l’Afghanistan è un paese bellissimo, che la Corea del Nord è una nazione dove fare le vacanze e dove non c’è overtourism... Come sia possibile essere arrivati a questo è un altro paio di maniche: l’autenticità percepita degli influencer fa sì (questo nel mondo del cinema succede oramai da tempo) che siano visti come “persone comuni” e non come portavoce ufficiali e tantomeno a pagamento. Al tempo stesso, i contenuti social raggiungono milioni di persone in poche ore e gli algoritmi rafforzano le convinzioni preesistenti, riducendo l’esposizione a fonti contrarie.

©Shraddha Agrawal

Eppoi c’è anche un bias cognitivo: così come in politica un sound byte, ovvero una dichiarazione è più efficace di un lungo discorso, le immagini e i video brevi, da toni forti, accattivanti, rassicuranti e perfino sexy colpiscono più delle analisi lunghe e complesse. In più l’assenza di giornalisti indipendenti impedisce di verificare la veridicità delle affermazioni degli influencer, che oltre a fotografare una cosa per un’altra, ripetono come nella Fattoria degli Animali di Orwell frasi che hanno letto prestampate nei loro profumati e grassi contratti. Il risultato è una narrazione alternativa che, pur contestata da osservatori e organizzazioni internazionali, riesce a sedimentarsi nell’immaginario di milioni di persone, influenzando la percezione della realtà e, potenzialmente, le decisioni politiche e diplomatiche.

Un cambio di paradigma inquietante che, pur essendo stato denunciato nella sua fenomenologia dalla stampa internazionale, ONG e da tante istituzioni, segna l’inizio di un’epoca inquietante in cui tutti parlano di tutti, ma mentre una cosa (forse non meno grave) è mandare la gente a vedere un film non riuscito o a banalizzare il gusto e l’estetica artistica, un’altra è legittimare la violenza, il sopruso e la giustizia sommaria contro donne, bambini, dissidenti, innocenti.

E dire che, come ci ricorda il giornalista (vero) Edoardo Giribaldi, in un articolo pubblicato sull’Huffington Post, “trent’anni fa il governo dei talebani eliminava televisioni e antenne paraboliche: nel 1998, infatti, i Talebani incaricavano il Ministero per la promozione della Virtù e la prevenzione del Vizio di ‘distruggere’ ogni tipo di televisore, registratore, videocassetta ed antenna parabolica in mano alla popolazione. Le autorità governative ritenevano che tramite i media le persone potessero venire indotte in comportamenti che violassero le interpretazioni talebane del Corano e della Shari'a. Mentre oggi si sfruttano le nuove piattaforme per ripulire la propria immagine agli occhi della comunità internazionale”.

Una nuova propaganda subdola e difficile da eliminare che oltre ad avere danneggiato la cultura, oggi, continua ad erodere la Storia. Come ci avevano avvertito Ray Bradbury e George Orwell… e non è più (solo) fantascienza.