Il cavallo Trevor, straordinario animale attore in Brado di Kim Rossi Stuart, si frattura una zampa dopo che da pazzo e indomabile che era, è stato ammansito e addestrato con amore e disciplina, per partecipare alla stessa gara che lo vedrà cadere malamente. Quel cavallo in un certo senso è già fratturato prima di fratturarsi, una bestia ai margini, furibonda, di una malinconia rabbiosa, ostile a tutti, animali, umani, al mondo.

La cura con cui viene forgiato e raddrizzato è impegno arduo ma anche fatale occasione di riavvicinamento tra un padre (Kim Rossi Stuart) e un figlio (Saul Nanni), il primo impulsivo, selvatico, a tratti sadico a tratti autolesionista, il secondo troppo saggio e controllato e malinconico come accade ai figli di genitori narcisisti, esuberanti, troppo ammaccati e fratturati dalla vita. La frattura della zampa del cavallo è epilogo drammatico di una fase intensa, fatta di trepidante aspettativa (riversata sulla gara ippica) e del ritrovato, difficile affetto tra un padre e un figlio separati da un’antica frattura.

Cesura del tempo da cui tornare indietro è impossibile, la frattura d’infanzia impressa dalla malvagità e irraggiungibilità del padre nel cuore del figlio è cicatrice conformata (e mai rimarginata) a partire dal lontano momento di quando, per stanchezza e per vendetta disperata contro la moglie e il loro matrimonio esploso, lo stesso padre s’è messo a occuparsi di cavalli, mettendo su un maneggio destinato al disastro di un’ennesima frattura. Ma eccoli nel tempo dell’addestramento del cavallo tornare temporaneamente a convivere (il padre con un braccio fratturato appeso al collo).

Bruschi, maldestri, afasici, pieni di rancori tanto quanto affamati d’amore paterno e filiale, padre e figlio la frattura che li separa trovano in quel tempo modo per dirla, lasciarla suppurare come una ferita infetta e da loro stessi, loro malgrado, medicata. Rompendo il sortilegio della eccessiva e più e meno velatamente sadica aspettativa paterna, la frattura alla zampa del cavallo segna contemporaneamente la guarigione della frattura emotiva tra loro, gli umani, il padre e il figlio.

Che nel dolore e la delusione per il frantumarsi di un sogno (la gara), insieme trovano un nuovo linguaggio, un codice famigliare. Sebbene nella complessità del loro universo emotivo tutto sghembo, stravolto da ricordi molto traumatici, figlio e padre riprendono, o forse per la prima volta incominciano, a stare e sentirsi vicini.

Perché una frattura, compiendosi, intanto getta i semi di una metamorfosi; perché molte volte, quando magari meno ce ne accorgiamo, in una frattura si depositano e restano celati gli antefatti della sua stessa guarigione.

La vita è una danza ® Emmanuelle Jacobson-Roques
La vita è una danza ® Emmanuelle Jacobson-Roques

La vita è una danza ® Emmanuelle Jacobson-Roques

Lo racconta con vera grazia e nitore narrativo Cédric Klapisch ne La vita è una danza (più eloquente il titolo originale francese: En corps, Nel corpo). Storia incentrata attorno a una frattura, di un piede questa volta. Elise è una ballerina classica, e se in una brutta caduta il piede non le si fratturasse lasciando ai medici l’arduo compito di imporle lo stop alla carriera di danzatrice professionista per un tempo troppo lungo da non convincerla dell’irreversibilità del danno, lei non conoscerebbe il percorso nascostamente luminoso che invece le tocca in sorte.

Un cammino denso di maturazione, liberazione, scioglimento di nodi interni, blocchi sia fisici, sia molto più, molto altro. La paura che la frattura ossea possa non ricomporsi blocca Elise; ma il suo corpo, come ogni corpo assai più intelligente della mente, nel frattempo trova soluzioni, nuove forme di resistenza, nove coreografie, nuovi generi di danza.

Qui più ancora che nel film di Kim Rossi Stuart “frattura” è sinonimo di rinascita. Si frangono e si frantumano le cose per poi ricomporsi; si spezza un’energia perché altre più fluide possano incominciare a scorrere. Sebbene un tempo muto separi la frattura dalla sua ricomposizione/riconfigurazione, proprio in quel tempo la frattura conformandosi prende a sprigionare la sua forza curatrice. Sono tante e tutte preziose le opportunità che la giovane, intensa Elise (Marion Barbeau) trova dopo essersi fratturata il piede.

La bellezza di un amore buono, senza sovrastrutture di dinamiche legate ad antiche ferite. La libertà di rilanciare il corpo nella danza contemporanea, ovvero un universo meno rigido per quanto altrettanto esatto della danza classica. La scoperta di sentire il cuore bloccato di un padre infine sciogliersi, piangere il dolore non pianto di un lutto che non è finito mai. Frattura è rinascita. Capitoli nuovi che per inaugurarsi necessitano la chiarezza e il coraggio della ricomposizione. Dalla frattura, finito il tempo del blocco, la vita riparte.