Terza prova da regista per Kim Rossi Stuart. Dopo Anche libero va bene (2006) e Tommaso (2016) l’attore torna nuovamente dietro la macchina da presa con un western esistenziale che racconta la storia di un padre e di un figlio.

S’intitola Brado e vede protagonista insieme a Kim, nel ruolo di Renato, un padre scomodo, scorbutico e ingombrante, anche Saul Nanni, nel ruolo di suo figlio Tommaso. Un ragazzo costretto dagli eventi a mandare avanti il ranch di famiglia e ad addestrare al posto del padre un cavallo recalcitrante con lo scopo di farlo vincere a una competizione di cross-country.

Scritto a quattro mani dallo stesso Kim Rossi Stuart coadiuvato da Massimo Gaudioso e tratto dal racconto La lotta contenuto nella raccolta Le guarigioni, sempre di Kim Rossi Stuart, edito da La nave di Teseo, il film fa parte di un’ideale trilogia (“Il mio primo film era sulla pancia, il secondo sul cervello e questo sui polmoni”, dice il regista) e di fatto i nomi dei suoi personaggi sono sempre quelli: Renato, Tommaso, Stefania (Barbora Bobulova).

Saul Nanni in Brado (foto di Claudio Iannone)
Saul Nanni in Brado (foto di Claudio Iannone)
Saul Nanni in Brado (foto di Claudio Iannone)

Perfetto Kim Rossi Stuart nel tratteggiare il suo Renato, stanco e affaticato, acciaccato, brutale nei confronti del figlio (“Hai avuto il padre orco, eh!”). Un uomo solo, abbandonato dalla moglie Stefania, che si difende dagli urti della vita con il suo caratteraccio. Intrattabile, come il cavallo Trevor, che insieme al figlio provano in tutti i modi ad addestrare e a far diventare meno bizzoso.

Selvaggio, di poche parole, questo “Clint Eastwood dei poveri” poco esterna i suoi sentimenti, e se vede qualcuno che prova queste “cazzate per gente debole”, come suo figlio, lo sminuisce: “Non fare il fagiano innamorato!”. I confini non sono però mai così netti, gli ostacoli si possono superare, gli orizzonti si possono ampliare e un figlio può arrivare ad educare non solo un cavallo, ma (compito ben più arduo) un padre ai sentimenti (o meglio all’espressione degli stessi). Quello di Kim è un film semplice, ma non banale.

Schietto e profondo, che passa dai toni ironici al dramma, non perdendo mai la sua natura e la sua verità. Lo sport, la gara, il complesso di Edipo e la relativa ricerca della propria identità, ma anche una riflessione sulla morte e sulla vita in qualche modo speculare a quella di Million Dollar Baby (e torna Clint Eastwood), ne fanno un film commovente che dimostra come Kim Rossi Stuart sia un autore libero e vero. In una parola, cambiando semplicemente una lettera: non Brado, ma bravo.