Cortile a Cleopatra è stato pubblicato per la prima volta nel 1936 e poi è stato riproposto in nuove edizioni, fino all’ultima in cui Emilio Cecchi, nella prefazione, dichiara: “Noi invidiamo quelli che lo leggeranno ora per la prima volta”. L’opera viene così riscoperta dai critici, ma neanche questo è bastato a inserirla in un pantheon più ampio.

Fausta Cialente ha trascorso gli anni della sua scrittura in ombra, non amava il pubblico e forse per questo, in vita, è stata percepita come una presenza occasionale nella cultura italiana. Oggi, però, una nuova generazione di lettori e di studiosi è convinta che la Cialente sia una delle voci più importanti del nostro Novecento.

La Cleopatra del titolo è un sobborgo di Alessandria e questo romanzo si svolge tutto in un cortile, dove, fra casupole erose dai venti, immersa in un’aria salmastra, si aggira un’umanità variopinta e dolorante, immersa in un male di vivere fatto di scarsità, invidie e gelosie. Marco, bello, ribelle e scansafatiche, è il centro e il motore di una storia drammatica.

Ma i veri protagonisti sono le luci, i colori e le ombre di un mondo poco raccontato e poco conosciuto, che rendono questo libro un pezzo unico sia nella produzione letteraria del tempo sia in quella della stessa Cialente: “Il cortile navigava sopra un fianco ed era quello della casa di Abramino: la morte di Spiro aveva rotto l'equilibrio. Se doveva attraversarlo per andare verso la casa della sarta, Marco aveva l'impressione di salire: Haiganúsh, quando veniva dalla sua porta verso la casa del pellicciaio, sembrava che scendesse una collina. Lui l'aspettava giù, inquieto, domandava notizie. Katina stava bene, sì, ma non si faceva vedere, e la sua casa, leggera, s'innalzava nel cielo sollevata dai venti: quella di Abramino, solida, pingue, affondava dall'altra parte come una barca troppo carica”.

Nell'estate del 1933 Fausta Cialente è in Italia per trascorrere, come ogni anno, la stagione con la famiglia. Il viaggio è l’occasione per ripensare alle difficoltà editoriali incontrate da questo romanzo, che da mesi preoccupano l'autrice, sfiduciata dal silenzio degli editori.

Il 24 luglio scrive all'amica Sibilla Aleramo: “… le mie vicende con gli editori, inavvicinabili, bugiardi o addirittura indegni, non hanno servito a farmi più allegra. Sono così perfettamente scoraggiata, malgrado le buone parole e gli ottimi giudizi di quanti hanno letto il libro, che mi domando se val la pena di continuare a lavorare, io che ho appena cominciato”. Il linguaggio composito e colorito del mondo coloniale alessandrino è, allo stesso tempo, eccessivo e troppo realistico. Il mito delle origini viene abbandonato con una rottura senza possibilità di riparazione; l’occasione è la morte del padre di Marco – un uomo dal lavoro modesto, e l’incontro con la madre, una vedova di origine greca, costituisce di fatto un incontro mancato.

La donna, che si chiama Crissanti (in greco “fiore d’oro”) accoglie il figlio con un distaccato bacio in fronte, come una delle madonne bizantine da lei venerate. Marco si innamora di Dinah, figlia bellissima di un pellicciaio ebreo, ma Eva, la moglie del pellicciaio, s’innamorerà a sua volta del ragazzo. In un vortice di ossessioni e smanie, questo romanzo sull’amore racconta tutto fuorché l’amore. Protagonisti sono il capriccio del desiderio, il dramma di affetti non gestibili, la finta ieraticità dei modi, l’anarchia dei luoghi.

La grandezza di Fausta Cialente è quella della narratrice-drammaturga: “Il compito del narratore, a mio vedere, è anzitutto quello di rappresentare”, scrive, “Un libro che si apre è come un sipario che si alza. I personaggi entrano in scena. La rappresentazione comincia”. Al contrario che per molte altre scrittrici del Novecento, per cui lo studio degli archivi personali ed editoriali ha restituito fonti e testi utili al recupero e alla valorizzazione del loro impegno, l'immagine di Cialente resta opaca, restano molte lacune di materiali riferibili alla produzione dell'autrice.

Cialente, silenziosa in vita, lo resta a lungo, anche dopo la morte. È una scrittrice che bisogna andarsi a cercare, che bisogna amare apposta, sollevando quasi a forza quel sipario che lei stessa ha voluto calare. Un film tratto da Cortile a Cleopatra per forza di cose sarebbe un film poco italiano, sia per l’ambientazione che per la scrittura, ma forse, ancora più interessante, diventerebbe un film sulla vita di Fausta Cialente, e la vera scommessa sarebbe dirci tutto senza profanarne il mistero.