Marsiglia è come Napoli: una città-mondo che produce automaticamente immaginario cinematografico. Lo è per natura, istinto, paesaggio, umore, che sia teatro della trilogia portuale di Marcel Pagnol (Marius, Zum goldenen Anker e Fanny, diretti da Alexander Korda), con quel catalogo di chiatte, marinai, mercanti, vino, partite a carte e la diffidenza provinciale nei confronti delle grandi città, o scenario di storie gangster (da Il bandito della Casbah a Borsalino passando per Il clan dei marsigliesi e Il braccio violento della legge). Tra tanti che passano nella città che – Klaus Mann docet – “appartiene al mare” e “sfavilla, millanta, puzza, gridacchia, gesticola”, c’è uno che resta, il cantore ufficiale non solo per i natali: è Robert Guédiguian, figlio di un elettricista di origini armene e di madre tedesca, settanta primavere da qualche mese, ventiquattro film in poco più di quarant’anni.

Il suo cinema è prima di tutto una questione privata, da spartire con la moglie Ariane Ascaride – i più la definirebbero musa ma a noi piace sodale e compagna, in ogni senso: si sono conosciuti nei collettivi universitari e stanno insieme da più di mezzo secolo – e ad altri amici come gli attori Gérard Meylan e Jean-Pierre Darroussin (ma anche figure per un certo periodo costanti, come lo sceneggiatore Jean-Louis Milesi, il montatore Bernard Sasia, il direttore della fotografia Pierre Milon e così via), ma il privato è sempre politico e l’atto artistico è un’azione civile (è produttore indipendente).

Al tramonto delle ideologie, Guédiguian è un uomo del Novecento che non si barrica nelle illusioni perdute ma crede che il sol dell’avvenire possa sorgere ancora, non rinunciando mai all’utopia che il cinema possa cambiare il mondo. Da decenni senza tessera di partito ma con il cuore sempre a sinistra, il maestro di Marsiglia è l’erede di una tradizione nazionale che mette al centro la gente del popolo (il quartiere dell’Estaque, che in quattro decenni abbiamo visto cambiare radicalmente), in primis coloro che non hanno quasi nulla ma sono pronti a condividerlo se il loro cuore lo impone.

E la festa continua
E la festa continua

E la festa continua

Una convinzione che si ritrova anche nel suo ultimo film, E la festa continua! (dall’11 aprile in sala), l’ennesimo compendio di una carriera che conferma, espande, sottolinea, ribadisce, aggiorna il discorso di un autore che misura il mondo stando dentro la propria patria. E che riprende il filo degli ultimi lavori, dal capolavoro La casa sul mare (tre fratelli nella villa che il patriarca morente ha costruito assieme agli abitanti del luogo: la solidarietà di classe contro la dinamica tra servi e padroni) all’incompreso Gloria Mundi (una bambina che annuncia una rinascita nonostante il capitalismo): Guédiguian è invecchiato, la sua generazione ha fallito e lo sa (“quarant’anni di sconfitte” sorride Ascaride nella Festa, in cui interpreta una politica locale), ma niente è perduto e tutto può ancora cominciare (nonostante quei giovani arrivati dopo che, colpa massima per il regista, sono dei piccoli borghesi pigri e pavidi).

Sono gli stessi personaggi esemplari che, all’indomani della grande crisi economica (ma anche prima, pensiamo a L’argent fait le bonheur, sull’alleanza tra militanza civile e presidio religioso), ne Le nevi del Kilimingiaro ci dicevano che forse la rivoluzione mancata del Sessantotto si poteva fare solo mettendo al centro quella generosità e quell’accoglienza rimosse nel mondo liberista. E sono gli stessi che, una decina di anni prima, sembravano sul baratro ne La ville est tranquille, il più pessimista dei suoi titoli (vedasi anche Lady Jane): perché il cinema di Guédiguian registra i movimenti tellurici della comunità, ne incanala le angosce e le tensioni e non ne resta prigioniero, anzi sente il dovere di trasformarle in soluzioni e speranze.

Gloria Mundi
Gloria Mundi

Gloria Mundi

(Webphoto)

E, proprio nell’ultimo E la festa continua!, il grande romanzo popolare di questo regista che fa sempre lo stesso film senza ripetersi mai recupera anche il grande tema del diritto alla felicità e della necessità dell’amore, che ora assume un carattere anche più forte: l’incoraggiante romanticismo dei non più giovanissimi Ascaride e Darroussin è incoraggiante è figlio dell’opera prima Dernier été (un’estate d’amore e lavoro che incrocia il realismo poetico ed Éric Rohmer, con Ascaride in love con Meylan), del luminoso Marius e Jeannette (il più grande successo del regista e dell’attrice lì, coincidente con l’ascesa del socialista Jospin a primo ministro sotto il gollista Chirac), del pur amaro Marie-Jo e i suoi due amori (che ci ricorda quanto il suo cinema non rinneghi le atmosfere di Marcel Carné e Julien Duvivier).

E la festa continua! è anche un film di ricostruzione (all’origine il vero crollo di due palazzi a rue d’Aubagne nel 2018, che causò otto morti e scatenò un’ondata di solidarietà, quest’ultima incrociata con le mobilitazioni in difesa del mercato della Plaine), inevitabilmente allegorico nel post-Covid, e la presenza di Ascaride (che qui si chiama Rosa, come Luxemburg), Meylan (Tonio in omaggio a Gramsci) e Daroussin ci ricorda che senza memoria non si va da nessuna parte (da Ki lo sa? a oggi, per i tre il cinema di Guédiguian è un Boyhood senza fine), che i rapporti umani edificano tutto il resto, che ci sono valori irrinunciabili e non negoziabili. Un manifesto che, ogni volta, Guédiguian ci espone dicendo lo troveremo dalla stessa parte, sempre e per sempre.