Ultima fatica di Robert Zemeckis, Here è la trasposizione cinematografica del graphic novel omonimo firmato da Richard McGuire e pubblicato nel 2014, subito impostosi come una pietra miliare della storia del fumetto. Tanto quest’ultimo quanto il film sono costituiti da un’unica inquadratura fissa che ritrae un salotto: i protagonisti sono gli eventi che accadono nei limiti di questa cornice mentre il tempo scorre sia avanti che indietro, intrecciando inoltre più piani cronologici tramite dei riquadri che compaiono nello schermo e che contengono eventi appartenenti a momenti storici differenti. L’impossibilità auto imposta all’immagine di relazionarsi allo spazio muovendosi in esso viene compensata dalla capacità di viaggiare liberamente nel tempo, oltre che di moltiplicare e sovrapporre gli istanti presenti nella stessa inquadratura tramite i riquadri. Dunque, il linguaggio filmico, tradizionalmente capace di muoversi e di unire spazio e tempo tramite il montaggio, viene amputato di una delle due dimensioni fondamentali ad esso connaturate e, al contempo, viene implementata in modo iperbolico l’altra.

Il film tratta una pluralità di piccole storie che si susseguono in modo non lineare e che condividono lo stesso spazio, quello ripreso dall’inquadratura fissa. I nuclei narrativi ordinati in senso cronologico riguardano i dinosauri, sui quali vediamo abbattersi il meteorite da cui deriverà la loro estinzione; una coppia di nativi americani che si ama e poi viene seppellita nello spazio su cui poi sorgerà la casa in cui si situa l’inquadratura fissa; alcune generazioni che si succedono nel periodo storico relativo alla Rivoluzione americana, epoca in cui viene costruita l’abitazione; la famiglia di un aviatore durante il periodo della Prima guerra mondiale che se ne va in seguito alla morte del padre causata dell’influenza spagnola; una coppia creatrice di una poltrona girevole e piena di confort, la cui commercializzazione, avvenuta dopo la Seconda guerra mondiale, permetterà loro di trasferirsi in una residenza più costosa; Al e Rose, coniugi che acquistano la casa nel Secondo dopoguerra e danno alla luce tre figli; uno di questi, Richard, sposa Margaret e dalla loro unione nasce Vanessa; infine, una famiglia afroamericana che si trasferisce nell’abitazione e vi resta negli anni del Covid-19.

Teoricamente Here prende in considerazione l’intera storia del pianeta Terra, dai dinosauri ad oggi, ma finisce per disporre le singole trame in cerchi concentrici, abbracciando in potenza la totalità del tempo (primo livello), tuttavia soffermandosi sulla storia americana e, in particolare sul XX secolo (secondo e terzo cerchio). Di quest’ultimo, viene privilegiata la parte più recente, cioè dal Secondo dopoguerra ad oggi (livello centrale). Il film sceglie dunque di concentrarsi sul mondo contemporaneo, costituitosi con la fine della Seconda guerra mondiale e identificando la piccola e media borghesia contemporanea come il vero protagonista della narrazione. Le singole individualità dei personaggi appartenenti alla pluralità delle storie trattate si dissolvono nel ritratto di questo ceto sociale: dei vari personaggi si raccontano infatti sempre le stesse cose, relative tanto alla corporalità biologica (le nascite e le morti) quanto e soprattutto all’appartenenza a questa classe, cioè la proprietà privata (i numerosi trasferimenti verso e dalla casa monofamiliare, emblema borghese), le costanti problematiche economiche (in particolare centrali nella relazione fra Richard e Margaret) e quelle relative al rapporto fra identità personale e status sociale derivato dal lavoro (la cui discrasia affligge sia Richard che, soprattutto, suo padre Al).

È la compresenza dei riquadri all’interno dell’inquadratura fissa a sottolineare e potenziare questi nuclei tematici: queste piccole cornici si relazionano fra loro e con lo schermo che li ospita tramite delle associazioni logiche che accentuano i nuclei drammatici delle varie storie. Ad esempio, la morte: quando viene annunciata la dipartita di Rose, compaiono riquadri contenenti i funerali passati avvenuti nello spazio ripreso, come quello del pilota di aerei e della donna nativa americana; l’infanzia: nella stessa inquadratura vediamo vari cornici contenenti Vanessa bambina, suo padre Richard quando era piccolo con la madre e, infine, la figlia del pilota mentre suona il violino; le celebrazioni civiche, come i festeggiamenti dedicati al Ringraziamento e all’Indipendenza (si vedono fontane di luce negli anni finali del XVIII secolo attaccate agli alberi che sorgono dove la casa sarà in seguito costruita, insieme ad altri riquadri contenenti fuochi d’artificio moderni in cielo e in televisione), e le festività religiose, come i tanti alberi di Natale appartenenti a periodi storici diversi che affollano la stessa immagine.

La compresenza di queste cornici porta alla creazione di tableaux vivants: le immagini, appartenenti a periodi diversi ma accomunate dagli stessi eventi e dalle medesime emozioni, attenuano la diversità cronologica e portano all’emersione di ciò che accomuna le varie narrazioni, cioè l’appartenenza al ciclo naturale della nascita e della morte (dunque la riduzione al biologico) e alla medesima classe sociale.

Infine, non solo la narrazione evita di legarsi ad un unico protagonista, ma, a ben vedere, si separa anche dall’elemento umano tout court, dato che il vero oggetto del film è la storia dello spazio inquadrato e della casa che sorge su di esso. In questo modo viene meno uno dei cardini del dispositivo cinematografico: il suo antropomorfismo, cioè il concetto secondo cui la figura umana è l’unità di misura della rappresentazione filmica.

Zemeckis riesce quindi in un duplice intento: in primo luogo, realizza un film che ha come protagonista una intera classe sociale, svincolando l’identificazione della rappresentazione cinematografica con il singolo individuo protagonista, cosa estremamente rara nel cinema hollywoodiano, e finendo col creare una delicata elegia della borghesia, un poema incentrato tanto sul grigiore e monotonia di questo ceto sociale quanto sulla bellezza e calore umano che ogni esistenza inevitabilmente possiede. In secondo luogo, il regista di capolavori come Forrest Gump e Ritorno al futuro riesce a estremizzare questo aspetto ribaltando completamente la prospettiva cinematografica a cui siamo abituati: non viene meno solo il concetto di protagonista, ma anche quello di essere umano in quanto focus centrale della rappresentazione filmica. Zemeckis realizza così una suggestiva lirica dell’inumano, avvicinandosi a grandi documentaristi del passato che avevano tentato la medesima sperimentazione, come Dziga Vertov o Walter Ruttmann, ma operando in modo opposto a questi ultimi: non provando a unire tramite il montaggio elementi urbani estrapolati da vari punti nello spazio, ma, al contrario, innestando ogni possibile frammento temporale in un'unica immagine raffigurante lo stesso luogo.