Con Mare fuori possiamo parlare del primo grande successo dello streaming di un prodotto originale italiano, paragonabile a quello che le piattaforme Over-the-top globali (da Netflix a Amazon Prime Video) hanno ottenuto coi loro titoli di punta internazionali. Il successo di Mare fuori ci spiega davvero cosa sia, oggi, la televisione, e forse, per allargare lo sguardo, quale possa essere il destino dell’industria degli audiovisivi. Per tutte queste ragioni è importante comprendere bene che cosa questo caso può insegnarci, e proporre una sorta di anatomia del suo successo.

Un caso di successo “convergente”

Iniziamo a chiarirci bene perché possiamo parlare di un successo in qualche modo inedito. La serie nasce come un prodotto commissionato da Rai Fiction per Rai2 alla casa di produzione Picomedia, fondata da Roberto Sessa nel 2009. Nell’industria televisiva i contenuti vengono sempre “commissionati” ex ante, ovvero vengono pensati, sviluppati e realizzati con precise finalità editoriali, per reti specifiche e anche slot di palinsesto definiti. Nel caso di Mare fuori la serie (nel formato di 12 episodi da 60 minuti lordi ciascuno) viene immaginata, con lungimiranza dai vertici di Rai Fiction, per diversificare il prodotto editoriale di contenuto scripted: la prima stagione viene programmata da mercoledì 23 settembre 2020 su Rai2, con un doppio episodio in onda back to back (l’uno di seguito all’altro) per sei prime serate del canale. Rai2 è la rete del servizio pubblico deputata a “ringiovanire” l’audience Rai, e la fiction ha questo obiettivo editoriale. Non mira a raccogliere un pubblico “largo” e indifferenziato, ma piuttosto a “colpire un target” specifico, più giovane rispetto alla media dei prodotti pensati per Rai1. L’obiettivo è raggiunto già con la prima stagione, che si rivela un buon successo, sebbene non eclatante: gli spettatori medi sono 1,6 milioni per la messa in onda lineare su Rai2, il 7,2% della platea complessiva.

Mare fuori (@RAI, foto Sabrina Cirillo)
Mare fuori (@RAI, foto Sabrina Cirillo)
Mare fuori (@RAI, foto Sabrina Cirillo)

Dal punto di vista dei target raggiunti, in Rai sono soddisfatti: si è ottenuto un buon dato (7,4% di share) sugli spettatori più giovani (con età compresa fra 15 e 24 anni), ma Mare fuori regge bene la prima serata generalista anche su target più adulti (immaginiamo un consumo condiviso nelle case: genitori più figli). La serie poi segna un chiaro crescendo, di episodio in episodio, ottimo segno relativo alla qualità del prodotto: sulla puntata finale della prima stagione (“Morire per vivere”) si ottiene il miglior risultato in termini di share (9,4% della platea). La seconda stagione, che viene messa in onda dal 17 novembre del 2021, con la medesima formula di programmazione, sembra apparentemente più stanca della prima: 1,2 milioni di spettatori medi, 5,8% di share. Dico “apparentemente” perché, in realtà, occorre considerare due novità importanti. La prima riguarda la composizione del pubblico: per la seconda stagione si assiste a un vero e proprio boom del tanto agognato target giovane (quasi 13% di share fra i 15/24enni: si tratta di più del doppio della share media della serie, segnale estremamente importante). E poi subentra quello che potremmo chiamare “Effetto Netflix”.

Serena De Ferrari e Clara Soccini (@RAI, foto Sabrina Cirillo)
Serena De Ferrari e Clara Soccini (@RAI, foto Sabrina Cirillo)

Serena De Ferrari e Clara Soccini (@RAI, foto Sabrina Cirillo)

Effetto “Netflix” e successo di streaming per la terza stagione

Come risultato di un accordo commerciale fra la Rai e la piattaforma Netflix, le prime due stagioni di Mare fuori finiscono nel catalogo della piattaforma di video-on-demand, e qui il destino della serie pare cambiare definitivamente. In poche settimane si comprende che Mare fuori si sta configurando come il prodotto seriale italiano più ricercato sulla piattaforma. Da allora la serie entra stabilmente, per oltre venti settimane, nella classifica dei “più visti” in Italia. E ovviamente inizia anche il suo viaggio fuori dai confini nazionali. E veniamo alle conseguenze più recenti. La crescita di attenzione per Mare fuori grazie a un passaparola transmediale (ci torniamo a breve) fa da premessa al vero e proprio boom della terza stagione. Sempre in maniera lungimirante, Rai decide che è il momento di un esperimento. La serie sarà messa in onda, con le consuete modalità distributive, dal 15 febbraio 2023. Ma la distribuzione sarà anticipata attraverso una pubblicazione integrale, a blocchi di sei episodi, sul portale di Raiplay (l’1 e il 13 febbraio). Ecco che si dispiega quel “successo convergente” da cui siamo partiti. Nel mese di febbraio, la serie raccoglie in streaming un ascolto medio (AMR-D) di oltre tre milioni di persone/device. È un dato inedito per lo streaming, che non ottiene risultati così importanti nemmeno col calcio. È il primo, grande successo per un prodotto originale italiano di fiction fuori dal perimetro della programmazione televisiva tradizionale (perché, nel mondo dello streaming, le audience sono normalmente più frammentate, e per la fiction funziona la legge della “coda lunga”, un contenuto viene visto anche a distanza di mesi dalla pubblicazione).

Le ragioni del successo: appeal generazionale e “passaparola transmediale”

Fino a qui abbiamo provato ricostruire “il caso” Mare fuori, ancora più notevole perché l’anticipazione in streaming non ha “cannibalizzato” la messa in onda su Rai2. Al momento in cui scriviamo (metà marzo), gli episodi in Tv sono visti mediamente da 1,3 milioni di spettatori, con consueti picchi fra i 15/24enni (oltre 15% di share), ma un allargamento anche su target più adulti. Ma come si spiega questo successo? Sembra banale dirlo, ma a vincere è sempre, in primo luogo, il prodotto: una scommessa vinta dalla Rai per raggiungere spettatori giovani, che sono sideralmente lontani tanto dalla tv tradizionale quanto dal servizio pubblico. Si è poi avuta l’intelligenza (e il coraggio) di scegliere una modalità di distribuzione (lo streaming) che è la più congeniale alla generazione z.

Carolina Crescentini (@RAI, foto Sabrina Cirillo)
Carolina Crescentini (@RAI, foto Sabrina Cirillo)

Carolina Crescentini (@RAI, foto Sabrina Cirillo)

Accanto a questo, possiamo ricordare tre fattori che connotano fortemente Mare fuori. Primo, la struttura narrativa ferrea, figlia della sceneggiatura fortissima, costruita a colpi di cliffhanger dai creatori Cristiana Farina e Maurizio Careddu. La Farina viene dalla “scuola” della soap all’italiana (Un posto al sole, Vivere), che lavora su lunghe trame di continuità, e svolge il ruolo di showrunner. Secondo, quello che abbiam chiamato “passaparola transmediale”, che fa di alcuni “oggetti” del prodotto mediale (il cast di giovanissimi attori divenuti teen idols, la colonna sonora a cominciare dalla sigla cantata da Matteo “Icaro” Paolillo, l’Edoardo Conte della serie, 2 milioni di follower fra Instagram e TikTok) terreno di esondazione sui social e la Rete. Terzo, oltre alla struttura narrativa solidissima, i temi, che, incrociando i generi (teen drama più prison drama), oscillano fra il realismo sociale di Un posto al sole (Napoli) e la crudezza di Gomorra (che è forse il riferimento più vicino, anche per l’uso del dialetto sottotitolato). Non ci sono eroi nel mondo di Mare fuori, forse solo anti-eroi. Ma, come dice nella prima stagione la direttrice Paola Vinci (Carolina Crescentini) al giovane di buona famiglia milanese Filippo Ferrari: “Un giorno imparerai pure qualcosa da loro”. Ecco, i tantissimi, giovani spettatori che hanno visto e apprezzato Mare Fuori hanno colto proprio questo aspetto: non sono eroi i ragazzi della serie, ma dalle storie così reali dei protagonisti si può imparare molto, senza la patina di forzati e polverosi moralismi.

(Tutti i dati menzionati nell’articolo sono frutto di elaborazione originale CeRTA su dati Auditel, tramite piattaforme Geca, Comscore, iPort Nielsen).