“La tecnologia va troppo a braccetto con il capitalismo e ci fa rimanere statici nel nostro mondo confortevole”. Parola di Maccio Capatonda, dal 17 novembre su Prime Video, con il suo nuovo film Il migliore dei mondi. Diretto da Danilo Carlani, Alessio Dogana e Marcello Macchia ovvero Capatonda, il film vede protagonisti Martina Gatti, Pietro Sermonti e ovviamente lo stesso Maccio Capatonda nei panni di un uomo comune del millennio digitale catapultato in un inaspettato viaggio analogico. Lui si chiama Ennio Storto e si ritrova improvvisamente in un 2023 alternativo dove la tecnologia si è fermata per sempre agli anni novanta.

Un mondo migliore dell’attuale? “La tecnologia per certi versi è pericolosa perché può trasformarti in un essere che non è in grado di amare e provare empatia- risponde Capatonda-. La vivo un po’ in modo combattuto. Mi ha permesso di essere ciò che sono, ma può anche farti diventare qualcosa che non vuoi essere. In qualche modo ne siamo vittime e veniamo usati”. E poi ancora: “Prenderei il buono che c’è nella tecnologia, ma non eccederei. Quando questa è al servizio del capitalismo può diventare cattiva perché va a fare presa sulle parti peggiori degli esseri umani. Vedi gli algoritmi. Insomma dovrebbe essere al servizio del bene dell’umanità e non del denaro, del guadagno e del profitto”.

Ma il suo terzo lungometraggio non è solo una riflessione sulla tecnologia, anzi, è un film sull’amore che vede per la prima volta sul grande schermo un Maccio innamorato. “Ennio all’inizio è solo – racconta-. È uno ipercontrollato e anaffettivo. Vive al 40% e lo ammette lui stesso perché ha paura. Fa una vita controllata e dominata dalla paura. Non si sente libero e non sa neanche il perché. Poi si innamora e si lascia andare. Il mondo 56K apre a Ennio la possibilità di amare e magari fallire. Gli dà la possibilità di perdere il controllo e di non rimanere statico nel suo mondo confortevole”.

Il film dunque riflette anche sul controllo. “Certamente. Sembra che siamo liberi, ma siamo schiavi del nostro stesso controllo. La tecnologia ci offre l’illusione che siamo in grado di controllare ogni aspetto della nostra vita. Il protagonista lo fa. Ma così facendo perde tutta una serie di esperienze e imprevisti che fanno crescere. Bisogna uscire dal proprio seminato”.

E tu sei schiavo della tecnologia? “Fin da quando da piccolo riproducevo i miei video con telecamere e vhs, li montavo e sentivo un grande limite perché non riuscivo a soddisfare pienamente i miei desideri. Poi è nato il digitale, quasi come un regalo che il mondo ci ha dato a noi tutti che volevamo fare questo lavoro. Per lavoro la uso molto come mezzo per fare le cose che ho in mente. Ti dà la possibilità di esprimerti e realizzare contenuti artistici. Il problema arriva quando tu rimani invischiato nel chiacchiericcio, nel gossip e nello scrolling infinito, ovvero nella fame di gratificazioni. Io verifico il mio successo o insuccesso grazie ai like e alle visualizzazioni. Non posso non usare i social per lavoro. Vivo la FOMO (ndr. fear of missing out), la paura di non esserci, o di non essere sempre presente con i post. Anche se io posto in modo random e non ho una strategia editoriale di pianificazione dei media”. Infine conclude: “È strano ma dopo la pandemia con la scorpacciata di tecnologia che ci siamo fatti la gente è rimasta ancora più infognata nel mondo digitale”.