È stato definito l’Alcarràs tunisino. In realtà il film di Erige Sehiri differisce da quello di Carla Simòn, vincitore dell’Orso d’oro all’ultimo festival di Berlino, per diversi motivi e non solo per l’ambientazione non più la campagna assolata della Catalogna, ma un paesaggio rurale della Tunisia, nonché per la coltivazione: lì erano peschi, qui sono alberi di fichi.

Tra questi alberi, tante giovani donne e uomini lavorano per il raccolto estivo e flirt e nuovi sentimenti sono all’ordine del giorno.

“Ci sono tanti temi che ho voluto affrontare in questo film: le differenze di genere, il mondo del lavoro, il patriarcato e così via- dice la regista, che ha presentato il suo Under The Fig Trees in anteprima italiana al Med Film Festival-. Il mio non vuole essere un film a tesi. Ma è un film di sentimenti e di sensazioni. Volevo creare un microcosmo che fosse un affresco della Tunisia contemporanea rurale. Una sorta di fotografia della giornata di lavoro di queste ragazze e ragazzi nel frutteto. Poi in questo ritratto della Tunisia ho fatto ovviamente rientrare anche alcuni elementi di storia e sociologia, ma ho cercato di non fare sentire mai la struttura e la costruzione”.

Per questo motivo ha scelto di far interpretare la sua prima opera di finzione, dopo il pluripremiato documentario Railway Men, da tutti attori non professionisti. “Mio padre è originario di un paesino del nord ovest della Tunisia che ha lasciato per emigrare in Francia. L’idea del fico e del frutteto ha sempre fatto parte dell’eredità della mia famiglia. Ho sempre pensato che se mio padre non fosse andato a vivere in Francia e io non fossi nata in Francia il mio destino probabilmente sarebbe stato quello delle ragazze del film, ovvero di fare la lavoratrice stagionale nel frutteto. Per cui ho guardato le mie protagoniste come se fossero le mie sorelle, le mie cugine o me stessa”.

Poche in generale le registe donne. Ma secondo lei le donne hanno uno sguardo differente rispetto agli uomini sulle cose o no? “La Tunisia è particolare perché ci sono tante registe donne. Non per forza una donna ha un punto di vista differente, ma è probabile che essendosi avvicinate dopo rispetto agli uomini all’arte cinematografica abbiano anche uno sguardo più fresco e più nuovo rispetto alle cose e meno strutturato. Una differenza è che noi donne raccontiamo diversamente le donne rispetto agli uomini”.

Infine conclude: “In questo film non sono mai stata io a esprimermi, ma ho sempre cercato di dare voce, volto e parola ai personaggi che ho raccontato”.

Dopo essere stato presentato quest’anno alla Quinzaine des Réalisateurs del Festival di Cannes, il film è stato candidato all’Oscar 2023 come miglior film straniero.