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Giordano Bruno
Sono molteplici i temi che scaturiscono da questo film di difficile rilettura. Difficile non tanto per la delicatezza della vicenda storicamente nota del domenicano di Nola, e neanche per il giudizio all’opera cinematografica ricevuto da “Segnalazioni” che metteva sull’allerta le intelligenze più critiche ad aiutare gli animi più sensibili. Ho scelto di vederlo e recensirlo perché la tematica di fondo suscita anche un certo appeal inerentemente ai tempi politici che viviamo. Infatti, il regista, ha voluto chiudere con Giordano Bruno la “trilogia del potere”, che si compone con Gott mitt uns e Sacco e Vanzetti.
I tre film hanno in comune un processo e la condanna alla pena capitale. Montaldo, così, chiude la tematica affidando alle parole del frate domenicano una sintesi di pensiero sul potere. Ma non anticipiamo quanto ci servirà a conclusione. La storia si concentra sugli ultimi otto anni di vita del filosofo domenicano (1592-1600). Si apre con gli anni di Venezia. Bruno è ospite del suo mecenate, il nobile Giovanni Mocenigo, interessato a conoscere l’arte della memoria, della predizione e della magia, che deluso nelle aspettative, per ripicca lo accusa di eresia e di praticare la magia nera, consegnandolo così all’Inquisizione veneziana.


Giordano Bruno
(Webphoto)Concluso il processo e avendo ricevuto la condanna del Senato, il filosofo viene portato a Roma e qui recluso nelle carceri di Tor di Nona, nei pressi di Piazza Navona. Qui subisce un lungo e tormentato processo allestito dall’Inquisizione romana che si conclude con la condanna a morte perché “eretico impenitente, pertinace e ostinato; indegno della Misericordia della Chiesa”. Consegnato al Governatore di Roma, nel febbraio del 1600, anno in cui si celebrava il Giubileo, venne bruciato vivo a Campo de’ Fiori.
La vicenda di Giordano Bruno è complessa e tocca ambiti che riguardano la dottrina della fede. Ora non spetta a questo contributo analizzare l’uomo, il pensiero e il caso di giustizia ecclesiastica. L’intenzione, invece, è quella di fare emergere il modo cinematografico con cui è stata raccontata una biografia già conosciuta soffermandosi, come si accennava, sui temi che ne scaturiscono.
La narrazione riesce a raccontare la complessità e l’eclettismo del personaggio, grazie a una sceneggiatura ben costruita di Piergiovanni Anchisi, Lucio De Caro e dello stesso Montaldo, congeniata sul numero due. I due cortei che fanno da chiasmo alla storia: quello di festa per la ricorrenza della vittoria dei veneziani a Lepanto in una Venezia luminosa, e illuminata, che apre il film; e il corteo di morte in una Roma oscura, e oscurantista che lo chiude.


Giordano Bruno
(Webphoto)Due le città dove hanno luogo le ultime vicissitudini di Bruno, del quale emergono due personalità, o stati d’animo: il primo consapevole della sua sapienza (a Venezia); il secondo consapevole di dover soccombere (a Roma). Due i tribunali ecclesiastici caratterizzati da due diversi stili di inquisizione rappresentati dalla posizione contrastante di due personalità incisive: il cardinale Roberto Bellarmino, la mente, che lo riconosce “un dotto, un uomo dalla forte tempra morale”, e il cardinale Giulio Antonio Santori, il polso, capo del Sant’Uffizio che vanta l’esecuzione di oltre cinquemila condanne a morte. Infine, due i processi vissuti e due le condanne subite.
Sontuosa è la ricostruzione storica degli ambienti e dei costumi ripresi con pochissimi totali e abbondanti inquadrature che prediligono i primi piani dei volti delle tantissime figure, protagonisti e figuranti che danno vita all’azione. La scelta dei primi piani si ispira a La passione di Giovanna d’Arco, il capolavoro di Carl T. Dreyer. Il film è fotografato dalle scelte cromatiche del maestro Vittorio Storaro che ricostruisce luci e inquadrature che ricordano i quadri del Caravaggio, con le figure che si stagliano dal fondo grazie all’uso della luce di taglio che dà forma a espressioni del viso, alle pose e alle prossemiche.
Impressionante è il ricorso alla posizione del Cristo esanime del Mantegna con cui viene ripreso l’esausto protagonista dopo la serie di torture che lo hanno prostrato, ma non convito all’abiura. Giordano Bruno è un film profondamente spirituale che solleva il tema del dialogo tra fede e ragione che con sfumature differenti e oggi più rispettose della diversità delle posizioni, ha accompagnato e caratterizza il confronto tra la sapienza spirituale e trascendente della Chiesa e quella culturale e immanente della società. Il film è un invito alla tolleranza di cui Giordano Bruno è un modello di coscienza libera e critica.


Giordano Bruno
(Webphoto)Il suo è un j’accuse alla religione come potere che accompagna e giustifica il potere, che divide e trova nei sovranismi (ancora oggi) la sua manifestazione più inquietante: “Chiedere a chi ha i poteri di riformare il potere. Che ingenuità”. Ne viene fuori l’immagine di una Chiesa ancora succube della consapevolezza di un potere temporale che la provvidenza con il tempo le ha fatto perdere e che si manifesta in uno dei periodi più bui della sua storia, l’inquisizione. Utilizzata per combattere le eresie, si è trasformata nello strumento per eliminare espressioni avverse al potere della religione, invece di curare lo spirito di chi si era allontanato attraverso il confronto, la comprensione e la misericordia ispirate dalle parole evangeliche che nel film vengono così parafrasate: “Noi vogliamo la morte del peccato, non quella del peccatore”. È la convinzione di un tormentato Papa Clemente VIII, sinceramente convinto che “il regno del terrore non è certo il regno di Dio”.
La confessione finale di un deluso protagonista ha il sapore di una cosciente sconfitta: “Quando ho detto che i procedimenti usati dalla Chiesa non sono quelli degli Apostoli poiché la Chiesa usa il potere e non l'amore. Quando ho detto questo non avevo torto. Quando ho detto che la mia filosofia è la libera ricerca e non il dogma non ho sbagliato”.



