Il 22 giugno 2015, in silenzio e lontana dai riflettori, moriva Laura Antonelli, l’icona erotica degli anni Settanta. La sua vicenda è nota: il declino professionale, l’arresto per spaccio di stupefacenti (in seguito derubricato a consumo personale), un disastroso intervento di chirurgia estetica in occasione di Malizia 2mila, un lungo processo, le difficoltà economiche, una forte depressione, l’allontanamento dalla vita pubblica.

Dieci anni dopo, il 24 giugno, se ne va Alvaro Vitali. Aveva 75 anni e continuava a girare l’Italia meno altolocata con il cappello di Pierino, il suo personaggio più celebre. Un ragazzino, nonostante il volto dell’attore fosse segnato dalla fatica di una vita che forse non era stata all’altezza dei suoi sogni.

Che c’entra Laura Antonelli con Alvaro Vitali? C’entra perché le loro parabole si somigliano: l’una ha scelto l’oblio per il trauma dello scandalo, la scomparsa della bellezza, la delusione per un mondo che l’aveva usata finché serviva, la consapevolezza che il presente non potesse competere con il ricordo; l’altro, depresso e poco abbiente nonostante i lauti guadagni dei momenti migliori, cercava in tutti i modi di uscire dall’oblio ed è drammatico oltre che patetico che, fino a poche ore prima della morte causata da una broncopolmonite recidiva, fosse “protagonista” del gossip, con le lettere spedite a mezzo stampa per convincere la moglie a tornare con lui. Laura Antonelli voleva essere dimenticata; Alvaro Vitali, no.

Ognuno a modo proprio, sono stati i corpi preminenti di un cinema che metteva al centro la gioia del sesso. L’una è stata la regina incontrastata della commedia erotica, la divina creatura capace di incarnare il mistero del piacere in film come Malizia di Salvatore Samperi, Sessomatto di Dino Risi, Il merlo maschio di Pasquale Festa Campanile, Mio Dio come sono caduta in basso! di Luigi Comencini, L’innocente di Luchino Visconti. L’altro si è fatto icona delle “pratiche basse”, maschera stralunata e animalesca di un cinema di consumo tanto effimero (la sua stagione si concentra in poco più di lustro) quanto di culto.

Lino Banfi e Alvaro Vitali in La liceale seduce i professori
Lino Banfi e Alvaro Vitali in La liceale seduce i professori

Lino Banfi e Alvaro Vitali in La liceale seduce i professori

(Webphoto)

Come i comici del passato, Vitali è diventato la sua maschera, “inservibile” se non nell’infinita replica dei tic, delle battute, dei gesti, dei modi entrati nell’immaginario del largo pubblico. L’insegnate, La licealeLa poliziotta fa carrieraLa dottoressa del distretto militareLa compagna di banco, La soldatessa alle grandi manovreL’infermiera di notteLa ripetente fa l'occhietto al presideLa liceale al mare con l’amica di papàL’onorevole con l'amante sotto il letto. I titoli sono tantissimi, spesso entrati nel frasario comune, diretti da un pugno di registi (Nando Cicero, Michele Massimo Tarantini, Mariano Laurenti), dapprima come comprimario (Edwige Fenech, Lino Banfi, Gloria Guida, Renzo Montagnani) battezzato con nomi che ne accentuavano l’aspetto comico (il professor Modesti, Anacleto Petruccio, Alvaro Tarallo detto Dodici omicidi, Arturo Mazzancolla, Peppino de Tappis e così via).

All’inizio degli anni Ottanta, quando le star del filone fanno il salto in un cinema meno corsaro, Vitali ottiene lo status di protagonista e non può che incarnarsi nel personaggio tipico delle barzellette: Pierino contro tutti, Pierino colpisce ancora, Pierino medico della S.A.U.B. sono quelli “ufficiali”, ma Gian Burrasca, Giggi il bullo e Paulo Roberto Cotechiño centravanti di sfondamento sono variazioni di un personaggio che si esalta negli sketch rapidi e immediati, quasi anticipando le caratteristiche delle clip sui social. Ma dura poco e il declino parte subito, prima della metà del decennio: Pierino torna a scuola apre i Novanta ma è un flop fuori tempo massimo, il maledetto Pierino Stecchino (nato come Una sirena nella costa, poi trasformato in parodia del film di Roberto Benigni) non viene mai distribuito in sala né trasmesso in televisione.

Qualcuno lo recupera come icona (Sergio Citti nella corale Mortacci, Bruno Colella e Leonardo Giuliano in Ladri di barzellette, Carlo Verdone nella quarta stagione di Vita da Carlo di prossima uscita), ma Vitali era già il fantasma di se stesso, troppo spesso ridotto a freak della tv del dolore a lamentarsi che il telefono non squillava, a disagio in un presente che non sembrava corrispondere ai suoi desideri, quasi scontornato dalla mitologia di quel cinema che non sarà mai più come un tempo. Come quello di Federico Fellini, che lo battezzò nel Satyricon e lo richiamò per I clowns, Roma e Amarcord. E che Vitali rimpiangeva sempre, forse pure per ricordarci involontariamente che anche i capolavori di un maestro devono qualcosa ai più insospettabili.