Michael Glawogger fa parte della generazione di cineasti – alcuni dei quali documentaristi - che qualche anno fa ha portato il cinema austriaco al centro dell'attenzione internazionale. Dopo essersi dedicato a tre diversi lungometraggi a soggetto, Glawogger porta a Venezia – in Orizzonti – il suo nuovo documentario. Perfettamente coerente con il lavoro che gli ha fatto ottenere riconoscimenti in tutto il mondo – Workingmen's Death, 2005 – Whores' Glory è una panoramica né sistematica né tantomeno esaustiva sul lavoro più antico del mondo. Diviso in tre capitoli, ciascuno girato in un diverso luogo del pianeta, il film si stende tra la Thailandia e il Messico passando attraverso l'India per osservare da vicino, ascoltare e tentare di scoprire la vita e le opere di chi offre per mestiere "l'amore a pagamento".
L'impianto e il suo andamento ricordano da vicino il lavoro del 2005, ma del rigore e del silenzio di quel film non rimane che qualche timido accenno. Il resto è un istinto incerto che spinge la macchina da presa in una costante inquietudine migratoria, senza mai – fino forse all'ultimo capitolo, dove in effetti si stabilizza trovando un suo giusto posto dentro la scena – riuscire a stabilire una rapporto chiaro, una distanza esatta, una prospettiva definita tra sé e i corpi che registra.
In ogni capitolo colori dominanti, un diverso grado luministico e un modo differente di muovere e posizionare la macchina contribuiscono alla costruzione ogni volta di una diversa parte del discorso: in Thailandia prevale la dimensione professionale ed economica – la vetrina è la figura di questo speciale commercio -, in India quella sociale e psicologica – distanze ravvicinate e interviste frontali segnano lo scarto -, mentre in Messico sono il corpo e lo spirito a essere posti al centro, mostrando per la prima e unica volta la prestazione sessuale di una delle senoritas che aspettano i clienti nella notte, sulla soglia delle loro stanze affacciate sulla polvere, e ascoltando i flussi di coscienza di alcune di loro, a metà tra pietà popolare, superstizione ancestrale e riflessione esistenziale.
Glawogger manca il bersaglio forse anche perché per la prima volta rinuncia alla semplice messa in collezione di sguardi sul mondo, tentando invece un'articolazione superiore del suo discorso. Resta il fascino di un'esplorazione appassionata anche se disorganica e accidentale.