L’apocalisse – chimica, biologica? – è stata razzista: ha colpito i bianchi, condannati a indossare le maschere (rendendo non intellegibili i dialoghi) antigas, e risparmiato i neri, e altre etnie, su cui i bianchi stessi si rivalgono con schiavismo al grado zero, vale a dire ingabbiamenti, collari in ferro, esecuzioni sommarie.

Titolo con siffatte premesse antifrastico, è The Survival of Kindess di Rool de Heer, in concorso al 73. Festival di Berlino al netto dell’anteprima mondiale, al festival di Adelaide a fine ottobre 2022.

Ogni festival si merita le (non-)anteprime che ha, certo a de Heer possiamo essere eternamente grati per The Tracker (2002) e 10 canoe (2006), ma The Survival of Kindess non trova piena sufficienza: si fa a dire prima quel che non è, né metaforico né allegorico (non vi fidate del cialtronismo entusiasta progressista), è meramente naif, o se preferite WYSIWYG – non tantissimo.

Belle le catene montuose dei Flinders, Australia del Sud, per carità, da premio la protagonista, denominata solo BlackWoman nei titoli di coda, tale Mwajemi Hussein, che dopo taglio torta con i pupazzetti dei razzisti bianchi troviamo ingabbiata nel deserto: ci sono le formiche, quasi scimmie kubrickiane, c’è il dubbio (in)sensibile che alla certa morte de Heer e attrice compensino, via sceneggiatura, con un onirico sviluppo a somma zero.

Sulle traiettorie umane e troppo umane, i cambi d’abito ma non di destino, l’idea costringente e dirimente della prigionia, che tutto può e nulla concede, da Stoccolma (sindrome) alle lande desertiche australi: la maschera antigas non fa il monaco, giacché quando la protagonista e gli asiatici accoliti la indossano, previo sbiancamento orbitale, poco cambia.

Non è solo intralcio antropoetico, ma spia cinematica, questa irresolutezza: la sopravvivenza della gentilezza ha delle ragioni che la ragione cinefila disconosce. Quest’ultimo de Heer è troppo evidente, smaccato, primitivo (più che fauve) per conquistare, se non una riflessione tout court, la nostra attenzione.

Tagliamo corto? Rolf de Heer da Adelaide a Berlino con una mancata allegoria antirazzista: sempliciotto.