“Per noi attori c’è una difficoltà, che ci rende unici al mondo: i ruoli italiani nella grandi produzioni sono recitati da americani, per noi non c’è possibilità di entrarci”. J’accuse di Pierfrancesco Favino, che al 73. Festival di Berlino (Berlinale Special Gala) porta L'ultima notte di Amore, il poliziesco di Andrea Di Stefano. Una produzione Indiana Production, Memo Films, Adler Entertainment e Vision Distribution, che lo porterà in sala il 9 marzo, inquadra Franco Amore, un poliziotto che in 35 anni di onorata carriera non ha mai sparato a un uomo, ma la sua ultima notte in servizio sarà più lunga e difficile di quanto avrebbe mai potuto immaginare, mettendo in pericolo il lavoro da servitore dello Stato, l’amore per la moglie Viviana (Linda Caridi), l’amicizia con il collega Dino (Francesco Di Leva), la sua stessa vita.

Nel cast anche Antonio Gerardi, L'ultima notte di Amore è per Favino l’occasione di richiamare l’attenzione sul contratto collettivo nazionale di lavoro per gli attori, a cui sta lavorando l’associazione Unita, e appunto sull’ostracismo che gli interpreti nostrani pagano nelle produzioni straniere in Italia che “pure beneficiano del tax credit al 40%: per noi l’inclusivity non si applica. Così una volta il nostro Paese si presta a ritrarre il Messico, l’altra i Gucci con l’accento del New Jersey: mai mi farebbero fare Kennedy a me, dunque perché loro possono fare Gianni Agnelli?”. Prosegue Picchio, “nessuna produzione francese accetterebbe un americano per incarnare Yves Saint-Laurent: si sono guadagnati questo rispetto, tracciando un limite invalicabile. La questione deve essere risolta ad alti livelli, direi ministeriali: decidere di difendersi è un tema industriale, non di area politica. È una mancanza di rispetto per la nostra storia, per la nostra scuola”.

Venendo al film, Di Stefano (Escobar, 2014) osserva come “oggi si fa tutto in postproduzione, ma lo spettatore si rende conto che è finto. Noi con buona dose di incoscienza abbiamo girato in pellicola, un esplicito richiamo agli Anni Settanta: anziché greenscreen e led wall, abbiamo ricostruito l’autostrada con tanti piloti, per la scena iniziale siamo ricordi a un elicottero”, con un preciso obiettivo: “Far sognare per davvero gli spettatori. Abbiamo talenti creativi unici in Italia, riportiamo il cinema alla sua potenza visiva e la gente tornerà in sala”.

Sull’onestà, tema centrale di L'ultima notte di Amore, Favino dichiara: “La mia onestà è il mio impegno sul set, forma di contratto non scritto con il pubblico”, mentre Di Stefano rivela come “mi è difficile fare questo mestiere senza entusiasmo, per me si tratta di vita o morte”.

Nello specifico, onestà e disonestà competono ai poliziotti Franco e Dino e ai “rivali” carabinieri: “È un film di intrattenimento – dice il regista - che si basa però su una realtà italiana piuttosto precisa, la più parte di agenti e carabinieri ha un doppio lavoro: è un dato di fatto, ma nessun ne parla. Con 1500 euro al mese è difficile, il film non vuole puntare il dito, accusare poliziotti e carabinieri, ma ha una sua verità, parla di persone con problemi reali, arrivare a fine mese è comune a tanti italiani”. Aggiunge Favino, “in altre cinematografie non se ne fa un caso, c’è libertà creativa. Fanno un doppio lavoro perché non arrivano a fine mese, ma siamo l’unico paese al mondo con due corpi di sicurezza sul territorio…”.

Detto che “la mia ambizione dal punto di vista creativo è la ricerca della semplicità: non voglio essere di ingombro, ma al servizio della storia”, aderendo al ruolo Favino conclude: “È questa una storia, una vicenda che fotografa l’idea di cosa sia un poliziotto, ovvero non un supereroe. Lo rende molto italiano: se Denzel Washington avesse incarnato Amore saremmo stati sicuri ce l’avrebbe fatta alla fine, se lo fa Favino può andargli male, ed è qualcosa in più”.