I grandi maestri, quando non brillano, ci ricordano che anche loro sono esseri umani. Insegnano che la perfezione non esiste, e che può succedere qualche volta di fare un passo indietro rispetto al talento che li ha caratterizzati. Roman Polanski è tra i migliori di sempre dietro la macchina da presa, è eccezionale nel raccontare ogni tipo di storia, nel confrontarsi con le inquietudini, le paure, la destrutturazione della società. Ma The Palace non sembra un film che porta la sua firma. O forse siamo noi che, questa volta, abbiamo perso la giusta sintonia con il suo cinema?

Siamo in un albergo di lusso, in mezzo alla neve, Capodanno si avvicina, l’arrivo del nuovo millennio spaventa. L’apocalisse bussa alla porta o magari cambiano semplicemente i numeri sul calendario? In questo clima, esponenti dell’alta borghesia affrontano i loro vizi, crollano davanti alla superficialità di ogni gesto, si fanno caricature di loro stessi smarrendo per l’occasione anche un brandello di lucidità.

The Palace (foto di M. Abramowska)
The Palace (foto di M. Abramowska)

The Palace (foto di M. Abramowska)

L’obiettivo sarebbe di creare un’allegoria selvaggia, un’ironia senza pietà di un mondo ormai sull’orlo del disfacimento. Echi da Repulsion, da Carnage. Il campo di battaglia sono le stanze, i corridoi e gli enormi saloni della dimora. Dove il desiderio sessuale si fonde con il grottesco, l’incredibile si fa, nostro malgrado, possibile. The Palace è la fiera dell’eccesso, dove un cane può accoppiarsi con un pinguino. Tutto è lecito. Anche noi, un po’ spaesati, facciamo coincidere il punto di vista con lo sguardo del responsabile dell’albergo, che cerca in qualche modo di evitare il peggio.

Siamo dalle parti di Ruben Östlund, per non andare troppo lontano, ma potremmo citare persino i fratelli Vanzina. Se non fosse tutto sopra le righe, oltre l’esagerazione, ci si potrebbe accontentare di qualche sorriso leggero. Ma non quando si tratta di Polanski che, pochi anni fa, ha realizzato uno dei film più belli degli ultimi tempi: L’ufficiale e la spia. La riflessione di fondo si percepisce, ma non arriva potente come ci aveva abituato con i suoi capolavori. Per citare un titolo simile, e restare sulla commedia, avevano stupito di più Eric Toledano e Olivier Nakache con C'est la vie, quando il pandemonio si scatenava in una villa durante un ricevimento di nozze. Si capisce allora il fuori concorso alla Mostra di Venezia. Possiamo non amare The Palace ma non mancare di rispetto a un autore che ha lasciato un segno indelebile nella storia del cinema.