“Quello che accade a monte prima o poi arriva su quello che c’è a valle”. Così recita la sapienza degli abitanti del villaggio in cui è ambientata la paradigmatica vicenda di Evil Does not Exist, di Ryusuke Hamaguchi, tra i più bei film visti in concorso a Venezia 80, premiato con il Leone d’Argento - Gran premio della giuria. Ed è anche l’augurio (in positivo, rispetto a quanto di negativo sottende la citazione nel film) per la nuova stagione di cinema che il più antico festival del mondo ha inaugurato anche quest’anno: dall’alto del red carpet della Laguna le opere della sezione principale, con la loro qualità media molto alta, possano scendere a valle, trovando pronta distribuzione e giungere nelle sale per una nuova annata ricca di film eccellenti.

Gli effetti sul pubblico dello sciopero – sacrosanto – delle maestranze hollywoodiane con il conseguente rallentamento delle uscite sul grande schermo, potranno essere mitigati (absit crumiro verbis) dall’alta marea dei titoli che dalla Mostra diretta dall’ottimo Alberto Barbera speriamo inondino da subito i cinematografi. Ancor più degli altri anni, nelle consuete frequentazioni geografiche e culturali della selezione veneziana, ci sono alcuni temi precisi che emergono dai film in lizza per il Leone d’Oro. Soprattutto la questione femminile trattata per bene, ma principalmente dalle registe donne: Ava Du-Vernay con Origin, storia della scrittrice Isabel Wilkerson, prima afroamericana vincitrice del Pulitzer; Sofia Coppola con Priscilla, rosario delle infelicità vissute dalla moglie nell’ombra di Elvis Presley; Fien Troch con Holly, parabola di un'adolescente difficile.

Appare invece come tema forzato, trattato quasi per onorare il politically correct, quando è gestito dai registi maschi, ad esempio in Ferrari di Michael Mann nella dialettica moglie/amante. Ai limiti dell’improbabile il girl power nella Danimarca più profonda e rurale del 1750 di Bastarden, comunque ottimo lavoro di Nikolaj Arcel; eccessivo ai limiti dello spiegone in Povere creature! di Yorgos Lanthimos, vincitore con merito del Leone d’Oro. L’eccezione positiva è di Michel Franco e il suo Memory: grazie anche all’interpretazione di Jessica Chastain, riesce in modo credibile a raccontare una donna che deve affrontare l'orribile ricordo di uno stupro, condividendo con lo spettatore il dramma.

Anche la migrazione, fenomeno planetario e insito nella storia dell’umanità, si è imposto. Solo due i film in concorso che ne parlano facendone però il soggetto totalizzante della narrazione, con grandi spunti di riflessione e resa notevole artistica: Io capitano, di Matteo Garrone, candidato italiano alla corsa agli Oscar come migliore film internazionale, e Green Border di Agnieszka Holland. Una riflessione mediante i toni della fiaba e la potenza dell’estetica in Garrone, con i due adolescenti protagonisti che sembrano incarnare i brandelli di migliaia di storie che le cronache ci hanno raccontato in questi anni; per una via più politica e drammatica, offerta dal punto di vista di chi vede i migranti arrivare in Europa, nel bianco e nero della coraggiosa regista polacca.

E il cinema del reale? Nei giorni della morte di Giuliano Montaldo, maestro italiano del cinema civile d’autore, al netto dei sottintesi (come il mistero del male e la possibilità di redimerlo in Dogman di Luc Besson, vincitore del cuore di chi scrive) lo abbiamo visto in modo evidente solo nel film di Hamaguchi (nella foto al centro una scena di Evil Does not Exist) citato in apertura: l’equilibrio ecologico del villaggio e il modo di vivere civile dei suoi abitanti sono messi in pericolo con conseguenze che influenzano profondamente la vita di Takumi e della piccola Hana.

Quella del regista nipponico - già Premio Oscar per Drive My Car - è una riuscita meditazione sulla questione ambientale che non è banalizzata, ridotta ad emergenza da ultim’ora giornalistica, alle proteste modaiole o alle cartacce da non buttare per terra ma che rimanda – laicamente – ad una sapienza antica, ad un equilibrio originario delle cose. Hamaguchi stringe piuttosto un patto con la natura, mettendosi in ascolto del suo ciclo perpetuo, dando a immagini “documentaristiche” la caratura epica di un quotidiano che si ripete identico nei secoli. Discendesse a valle anche solo questo sguardo su una delle questioni decisive dell’umanità – il rapporto con il creato e la considerazione che la società oggi ne ha – sarebbe sufficiente per affermare che è stata una grande Venezia 80 e sarà una grande stagione al cinema.