Ci sono film che in sala sarebbero semplicemente inutili e che in una Mostra d'Arte Cinematografica - sia pure fuori concorso - diventano persino detestabili. The Moth Diaries di Mary Harron (anche sceneggiatrice) è uno di questi.
E' ambientato in un collegio femminile d'elite, dove la giovane orfana di uno scrittore che si è tagliato le vene, inizia a sviluppare forti paranoie nei confronti di una coetanea da poco arrivata, credendola una specie di reincarnazione della Carmilla di Le Fanu (racconto che la protagonista sta leggendo imbeccata dal professore d'inglese brillante e scapigliato).
D'altra parte le ragioni per non vederla di buon occhio non mancano: la neo Carmilla non mangia mai, è pallida da fare spavento, abita una camera che puzza di morto, influenza negativamente le altre collegiali, le ha rubato l'amica del cuore. Ma è quando iniziano a cadere per terra, una dopo l'altra, studentesse e insegnanti che i sospetti rivelano qualcosa in più di una sinistra ossessione...
Variazione sul tema del vampirismo - riconsiderato 80 anni dopo Dreyer ancora una malattia morale - The Moth Diares è psicanalisi per immagini: è chiaro che il mostro affrontato dalla protagonista è frutto di una psiche trumatizzata, la figura catalizzante di paure e fratture profonde; lapallisiano che il bisogno di proteggere le proprie compagne scaturisce da un forte senso di colpa, quello di non essere riuscita a salvare il padre; scoperta la voglia di raccontare la maturazione di una adolescente nei modi di un gothic tale - e nei suoi snodi principali: la paura di crescere, la ribellione all'autorità, la scoperta del sesso, l'assunzione di responsabilità. Ma è il film che manca oltre le intenzioni, perché la regia di Harron è tremendamente piatta, la storia prevedibile, la recitazione scadente.
Operazione sciatta, sotto ogni punto di vista. Un esempio? Il cast: la protagonista (Sarah Bolger) dovrebbe avere gli occhi sbarrati dall'angoscia, ma sembra afflitta più che altro da problemi di tiroide; "Carmilla" (Lily Cole) vorrebbe somigliare a uno spettro ma pare solo una di quelle orrende bambole di porcellana finite non si sa come sulla credenza della nonna; il professore (Scott Speedman) ha il carisma di un barista in discoteca e la faccia di quelli che la laurea non la prendono nemmeno se la comprano. E poi il mischione di fiaba nera e teen movie è più a progetto che nei fatti, non nuovo e rammendato con lo spago dei cliché televisivi.Zero spessore, zero emozione, nessun brivido (aria condizionata a parte). Una sola domanda, ai selezionatori: perché?